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![]() Alfonso Gatto nacque a Salerno nel 1909, figlio di una famiglia di piccoli armatori. Dopo un’infanzia spensierata e un’adolescenza burrascosa, frequentò l' università poi disertata. Lavorò come commesso, precettore in un collegio, correttore di bozze e giornalista. Nel 1938 fondò a Firenze con Vasco Pratolini la rivista letteraria " Campo di Marte". Le sue liriche si distinguono per la musicalità dei suoi versi che narrano d’amore e di sofferta quotidianità, dove all’impegno civile si unisce il ricordo nostalgico dell'infanzia e della sua terra d'origine. Il suo linguaggio è spesso limpido, musicale, si sviluppa passando attraverso un appassionato lirismo umanitario, fino al raggelarsi della parola nella riflessione della morte e del mutamento misterioso della vita e della sofferenza dell’umanità. Con Alfonso Gatto voglio ricordare la Poesia, oggi forse troppo lontana dalle esigenze di questa società inquinata senza punti di riferimento, i valori buttati alle ortiche, voglio ricordare i Poeti che hanno fatto grande la cultura del Novecento italiano e oggi ingiustamente dimenticati. E, ricordo nei ricordi, desidero farlo con un poeta, abbiamo condiviso la terra e il mare, Alfonso Gatto, poeta salernitano, morto prematuramente nel 1976 in un incidente stradale nei pressi di Orbetello. Opere principali: Poesia: Isola, Napoli 1932 Prosa: La sposa bambina, di Firenze 1944, nuove edizioni Firenze 1963 e Salerno 1994 |
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La costiera d’Amalfi
La strada che da Vietri a Capodorso
a Minori, ad Amalfi sale e scende verso il mare di Conca e di Furore è strada di montagna: vi s’arrende la luce che nel trarla dosso a dosso ai suoi spicchi costrutti trova il fiore del lastrico deserto, la ginestra. E l’ombra passa a approfondire il verso dei suoi displuvi, l’onda dei tornanti alle case di vetta: una finestra dai vetri d’alba s’apre per l’oriente alla breva serale. Calma fragranza, il sonno nel riverso meriggio è già l’amore, un frascheggìo di pergole di scale e di voci passanti, il fumo di chi vive col suo niente una giornata d’aria. |
La pergola
I primi freddi e l'ultimo tepore
dell'ottobre marino, la canaria nel suo scialle di brividi ne muore teneramente, quasi fatta d'aria e di luce e di nulla, solitaria il sollievo dell'anima è nel vento un nome che ritorna dall'ascolto, |
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Alla mia terra
Io so che nulla potrà mutare il nero della mia gente,
il soliloquio scende come una sera di scirocco e non ha ragioni, non ha patria. Io so che nulla palla spiegare la testa dura dei bambini, Io so che nulla si consuma, e profumo di mura e vecchie notti |
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A mio padre
Se mi tornassi questa sera accanto
lungo la via dove scende l’ombra azzurra già che sembra primavera, per dirti quanto è buio il mondo e come ai nostri sogni in libertà s’accenda di speranze di poveri di cielo io troverei un pianto da bambino e gli occhi aperti di sorriso, neri neri come le rondini del mare. Mi basterebbe che tu fossi vivo, |
Torneranno le sere
Torneranno le sere a intepidire
nell’azzurro le piazze, ai bianchi muri la luna in alto s’alzerà dal mare e nella piena dei giardini il vento fitto di case, d’alberi, di stelle passerà per la grande aria serena. Torneranno nel sogno anche le voci delle famiglie illuminate a cena, la rapida ebrietà del loro riso. O finestrelle, pozzi, logge, vetri |
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In un soffio
Risvegliare dal nulla la parola.
È questa la speranza della morte che vive del suo fumo quando è sola, del silenzio che ventila le porte. Il passato non cessa di passare ![]() La rosa
La rosa se l’azzurro la colora
Di sé rossa nel verde alza la rosa, rosa di macchia fulgida la rosa rossa d’azzurro, viola d’acqua nera. ![]() |
Ai monti di Trento
Bei monti della sera
azzurra è già l'Italia...
Penso a mia madre sola con la luna Così la chiara spera Era la luna ancora effusa al giorno,
Bei monti della sera |
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Canto alle rondini
Questa verde serata ancora nuova
e la luna che sfiora calma il giorno oltre la luce aperto con le rondini daranno pace e fiume alla campagna ed agli esuli morti un altro amore; ci rimpiange monotono quel grido brullo che spinge già l' inverno, è solo l' uomo che porta la città lontano. e nei treni che spuntano, e nell' ora ![]() |
Le vittime
La storia fosse scritta dalle vittime
altro sarebbe, un tempo di minuti, di formiche incessanti che ripullulano al nostro soffio e pure ad una ad una vivide di tenacia, intente d'essere. Gli inermi che si scostano al passaggio Dei vincitori, ai ruinosi alberghi |
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L’alba
Com’è spoglia la luna, è quasi l’alba.
Si staccano i convogli, nella piazza bruna di terra il verde dei giardini trema d’autunno nei cancelli. È l’ora fioca in cui s’incide al freddo la tua città deserta, appena un trotto remoto di cavallo, l’attacchino sposta dolce la scala lungo i muri in un fruscìo di carta. La tua stanza leggera come il sonno sarà nuova e in un parato da campagna al sole roseo d’autunno s’aprirà. La fredda banchina dei mercati odora d’erba. La porta verde della chiesa è il mare. |
Caffè del porto
Il cane ha freddo e silenzio.
Solo come il cuore. I marinai se ne sono andati, da una mano all’altra passavano il berretto. E la sposa stucchevole si gira dentro lo specchio e mai si sposerà. La pioggia spoglia gli anni e la Vergine invecchia col suo latte giallo. Il cane ascolta il cuore e il Sud è malinconico come un vecchio confetto. |
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Io penso ai morti
Nella pioggia che batte e scioglie i cieli
– i grandi cieli all’improvviso soli – io penso ai morti. Udranno a lungo i treni chiamare in sogno le città perdute e dare ai nomi dell’addio la voce che resta della sera. Sei, a chiamarti, il nome delle sere |
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- Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
- Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi - Testi e scelta delle poesie di Antonio Ragone - Editing: Anna de Vivo |
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