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Vincenzo Cardarelli

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Vincenzo Cardarelli

C’è una delicata poesia sui gabbiani di Vincenzo Cardarelli (il suo vero nome era Nazareno Caldarelli, nacque a Corneto Tarquinia, in provincia di Viterbo, nel 1887 e morì a Roma nel 1959.) Nel paese natale trascorse l’infanzia e la giovinezza. Per difficoltà economiche, dovette interrompere i primi studi scolastici, e a diciassette anni si trasferì a Roma, appena con la licenza elementare, esercitando all'inizio i più umili mestieri. Fu autodidatta non avendo mai proseguito gli studi. A Roma prese contatto con i circoli intellettuali della città, divenne giornalista e collaborò a diverse riviste letterarie, fra cui "La Voce". Fu poi tra i fondatori della "Ronda" (1919), di cui assunse la direzione La sua prima opera, un volumetto di prose e poesie, uscì nel 1916 col titolo “I prologhi”. Ad essa seguirono “Viaggi nel tempo” (1920), “Favole e memorie” (1924), “Il sole a picco” (1929), “Poesie” (1936). Fra le opere in prosa ricordiamo “Il cielo sulla città” (1939, “Lettere non spedite” (1946) e “Solitario in Arcadia” (1948).
È considerato il poeta dell’esilio e della solitudine. “Io nacqui forestiero in Maremma, di padre marchigiano, e crebbi come un esiliato, assaporando con commozione tristezze e indefinibili nostalgie. Non mi ricordo la mia famiglia, né la casa dove son nato, esposta a mare, nel punto più alto del paese.”
I gabbiani, questi irrequieti uccelli marini, che spesso ho ammirato librarsi in volo, seguire i pescherecci, carichi di uomini e pesci, che tornano nei porti dopo la notturna pesca al largo, in attesa di cibarsi dei pesci che i pescatori rigettano in mare. A volte si lanciano all’improvviso sulle barche piene di pesci per carpine alcuni al volo. All’alba li ho visto adagiati sui pali dei mitili, bianchi e maestosi. Mi capita spesso di passeggiare lungo la battigia, dopo un notturno uragano, così possiamo trovarci inconsapevolmente dentro le nostre riflessioni, ad ogni passo un pensiero ove rintracciare la perduta serenità e finalmente noi stessi. E poi fermarci all’improvviso davanti a due gabbiani senza più vita posati sulla rena bagnata. I pescatori mi raccontavano sempre che le coppie di questi uccelli marini non volano mai soli fino all’ultimo giorno quando s’accasciano sulla proda salmastra per morirvi insieme. Nelle poesie di Cardarelli ritorna, frequente e caro, il tema del distacco, così come il senso del silenzio nascosto nell’odore dei mesi e delle stagioni. Il suo cuore è un cimitero di ricordi, così tutta la terra si fa, per esteso, cimitero di ricordi, luogo deserto e desolante, senza più neppure l'attesa o l’illusione di riempire un vuoto incolmabile.

Gabbiani
Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch'essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.
 
Cardarelli gabbiani
 
Febbraio
Febbraio è sbarazzino.
Non ha i riposi del grande inverno,
ha le punzecchiature,
i dispetti

di primavera che nasce.
Dalla bora di febbraio
requie non aspettare.

Questo mese è un ragazzo
fastidioso, irritante
che mette a soqquadro la casa,
rimuove il sangue, annuncia il folle marzo
periglioso e mutante

Passaggio notturno
Giace lassù la mia infanzia.
Lassù in quella collina
ch’io riveggo di notte,
passando in ferrovia,
segnata di vive luci.
Odor di stoppie bruciate
m’investe alla stazione.
Antico e sparso odore
simile a molte voci che mi chiamino.
Ma il treno fugge. Io vo non so dove.
M’è compagno un amico
che non si desta neppure.
Nessuno pensa o immagina
che cosa sia per me
questa materna terra ch’io sorvolo
come un ignoto, come un traditore.
 
Passato
I ricordi, queste ombre troppo lunghe
del nostro breve corpo,
questo strascico di morte
che noi lasciamo vivendo
i lugubri e durevoli ricordi,
eccoli già apparire:
melanconici e muti
fantasmi agitati da un vento funebre.
E tu non sei più che un ricordo.
Sei trapassata nella mia memoria.
Ora sì, posso dire che
che m'appartieni
e qualche cosa fra di noi è accaduto
irrevocabilmente.
Tutto finì, così rapito!
Precipitoso e lieve
il tempo ci raggiunse.
Di fuggevoli istanti ordì una storia
ben chiusa e triste.
Dovevamo saperlo che l'amore
brucia la vita e fa volare il tempo.
Alla deriva
La vita io l’ho castigata vivendola.
Fin dove il cuore mi resse
arditamente mi spinsi.
Ora la mia giornata non è più
che uno sterile avvicendarsi
di rovinose abitudini
e vorrei evadere dal nero cerchio.
Quando all’alba mi riduco,
un estro mi piglia, una smania
di non dormire.
E sogno partenze assurde,
liberazioni impossibili.
Oimè. Tutto il mio chiuso
e cocente rimorso
altro sfogo non ha
fuor che il sonno, se viene.
Invano, invano lotto
per possedere i giorni
che mi travolgono rumorosi.
Io annego nel tempo.
 
Partenza mattutina
Al mio paese non posso dormire.
Sempre mi leverò coi primi albori
e fuggirò insalutato.
Quanti mattini della mia infanzia
furono simili a questo,
libeccioso e festivo,
con la marina burrascosa in vista
e la terra bagnata.
Quante volte percorsi questa strada
ove oggi mi ritrovo e mi stupisco
d'essere ancora al mondo.
Sconosciuto, inatteso,
eccomi in via di nuovo
per quella stazioncina solitaria
in cui vissi bambino, a cui ritorno,
e tutto il mio passato
mi frana addosso.
Inorridisco al suono
della mia voce.
Alla morte
Morire sì,
non essere aggrediti dalla morte.
Morire persuasi
che un siffatto viaggio sia il migliore.
E in quell'ultimo istante essere allegri
come quando si contano i minuti
dell'orologio della stazione
e ognuno vale un secolo.
Poi che la morte è la sposa fedele
che subentra all'amante traditrice,
non vogliamo riceverla da intrusa,
né fuggire con lei.
Troppo volte partimmo
senza commiato!
Sul punto di varcare
in un attimo il tempo,
quando pur la memoria
di noi s'involerà,
lasciaci, o Morte, dire al mondo addio,
concedici ancora un indugio.
L'immane passo non sia
precipitoso.
Al pensier della morte repentina
il sangue mi si gela.
Morte non mi ghermire
ma da lontano annùnciati
e da amica mi prendi
come l'estrema delle mie abitudini.
 
Liguria
È la Liguria terra leggiadra.
Il sasso ardente, l'argilla pulita,
s'avvivano di pampini al sole.
È gigante l'ulivo. A primavera
appar dovunque la mimosa effimera.
Ombra e sole s'alternano
per quelle fondi valli
che si celano al mare,
per le vie lastricate
che vanno in su, fra campi di rose,
pozzi e terre spaccate,
costeggiando poderi e vigne chiuse.
In quell'arida terra il sole striscia
sulle pietre come un serpe.
Il mare in certi giorni
è un giardino fiorito.
Reca messaggi il vento.
Venere torna a nascere
ai soffi del maestrale.
O chiese di Liguria, come navi
disposte a esser varate!
O aperti ai venti e all'onde
liguri cimiteri!
Una rosea tristezza vi colora
quando di sera, simile ad un fiore
che marcisce, la grande luce
si va sfacendo e muore.
Marzo
Oggi la primavera
è un vino effervescente.
Spumeggia il primo verde
sui grandi olmi fioriti a ciuffi
ove il germe già cade
come diffusa pioggia.
Tra i rami onusti e prodighi
un cardellino becca.
Verdi persiane squillano
su rosse facciate
che il chiaro allegro vento
di marzo pulisce.
Tutto è color di prato.
Anche l'edera è illusa,
la borraccina è più verde
sui vecchi tronchi immemori
che non hanno stagione,
lungo i ruderi ombrosi e macilenti
cui pur rinnova marzo il greve manto.
Scossa da un fiato immenso
la città vive un giorno
di umori campestri.
Ebbra la primavera corre nel sangue.
Vincenzo cardarelli cardellino
 
Tempo che muta
Come varia il colore
delle stagioni,
così gli umori e i pensieri degli uomini.

Tutto nel mondo è mutevole tempo.
Ed ecco, è già pallido,
sepolcrale autunno,
quando pur ieri imperava
la rigogliosa quasi eterna estate.

Attesa
Oggi che t'aspettavo non sei venuta.
E la tua assenza so quel che mi dice,
la tua assenza che tumultuava,
nel vuoto che hai lascito,
come una stella.
Dice che non vuoi amarmi.
Quale un estivo temporale
S'annuncia e poi s'allontana,
così ti sei negata alla mia sete.
L'amore, sul nascere, ha di questi           improvvisi pentimenti.
Silenziosamente ci siamo intesi.
Amore, Amore, come sempre,
vorrei coprirti di fiori e d'insulti.
Viaggio
Come il partente invidia chi rimane!
Come felice, stabile,
si mostra il mondo a lui che lo contempla
con l'animo d'un esule, con occhi
di morituro.
Deciso all'addio,
egli è, pure indugiando, già in cammino
e fuori dalla vita.
Così a me tutto apparve, in ogni tempo,
come quelle città che salutai
verso sera,
mentre, partendo, già il ricordo urgeva,
o ch'io scopersi fervide e ridenti,
dall'alto d'un ponte,
passando in ferrovia,
rasentando i segreti delle case
col treno in corsa
che discioglieva i luoghi a me più grati

in un gioco di nuvole.
Oh senza sosta io vissi
ed esule dovunque.
Nessun'arte imparai, niuna certezza
mi assiste
nel punto di salpare ormai per sempre.

 
 
 
- Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
- Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
- Testi e scelta delle poesie di Antonio Ragone
- Editing:  Anna de Vivo
 

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