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Prosa e racconti

Io come sto?

<< Io come sto?>>
E dovrei anche darti una risposta, non lo vedi da te come sto! Sto qui e basta.
E poi scusa, come hai fatto a vedermi? Sei l'unico sai. Sono anni ormai che mi aggiro per queste stanze, incontro persone che mi passano accanto e non mi vedono per niente. Non sentono i miei richiami. Io parlo, parlo ma nessuno mi ascolta, nessuno che si degni darmi una risposta, un saluto. Mi sento alla stregua di un mobile sempre pronto all'uso o l'uomo ombra, che dico invisibile, trasparente, un'alieno insomma.
Invece sono sempre io ma allo stesso tempo non lo sono.
Guardo, sento, ascolto, anche se rispondo a un quesito che in quel momento viene posto da qualcuno a me vicino, la mia voce non ha consistenza, non arriva da nessuna parte, nessun orecchio la percepisce.
So cosa pensi, ti chiedi cosa faccio ancora qui, ecco me lo chiedo anch'io e finalmente ho capito che questa non è più aria per me perciò è meglio che tolga il disturbo e scompaia forse, dopo, starò meglio.

Serata di festa

Il sole lentamente scompare nel pallido orizzonte.
La luce si attenua, si scioglie dalla sua energia e,
con pigrizia, si confonde con le prime ombre della sera.
I colori rosa del cielo si uniscono al crepuscolo ed in
un attimo ci si trova in una buia sera d’estate.
E’ la notte scura e profonda.
Solo una stella all’orizzonte veglia sul mondo.
La luna gioca a nascondino con le altre stelle fra le nuvole.
Un giovane uomo.
C’è vita in un piccolo angolo della terra.
E’ in corso una grigliata per riunire alcuni amici,
alcuni giovani, per festeggiare la fine di un torneo
di calcetto, per premiare vincitori e vinti, per stare
assieme qualche ora in allegria.
Una leggere brezza trasporta gli odori ed il fumo,
diventato nuvola, passeggia fra le fronde degli alberi.
entra nelle finestre aperte, come pure nell’androne della chiesa.
Le flebili fiammelle di alcuni lumini illuminano leggermente
una grande tavolata piena di risate ed allegria.
Parole si innalzano al cielo, parole accompagnate da qualche
bicchiere di vino e dalla freschezza della gioventù.
La stella continua a far capolino nel blu della notte.
Guarda non vista l’allegra brigata e sorride perché si sente
ed è parte di loro.
Attimi di silenzio fra applausi scroscianti durante la premiazione.
Tutti sono contenti e felici.
E la sorpresa finale….i fuochi d’artificio.
Si susseguono uno dopo l’altro: gialli, rossi, verdi,
i colori dell’arcobaleno.
Riempiono la vista di splendide melodie . mentre dalle bocche,
esclamazioni di stupore e meraviglia si soffocano sotto
il rumore dei botti.
Lampi colorati che illuminano il cielo scuro.
Salgono e scendono, si sparpagliano, si confondono tra loro.
Giocano a calcetto con la stella e poi lentamente scendono a terra.
Giovani uomini ed una stella che sorride.
Su una sedia un bellissimo mazzo di fiori per un ricordo,
per una amicizia che resterà sempre nel cuore di tutti.

Treviso, li 16/07/2007

 

Alfonso e il verme

Si chiamava Alfonso, ma per noi della Baia Del Re era “el Funsin”, il piccolo. Alto non più di un metro e mezzo, dal fisico gracile, esile come un giunco, brutto da non guardarsi, si atteggiava a “ras” del quartiere e noi morivamo dalle risate. Nonostante il fisico non proprio statuario, faceva un mestiere che avrebbe per sua natura richiesto ben altre doti di forza e prestanza: el cervelee, ìl macellaio, traduzione per il volgo ma soprattutto per i non milanesi. Forse per questo aveva mutuato un’espressione di falsa ferocia che lo trasformava in macchietta vivente. Oh, ma ci metteva anche del suo, vestendosi come Al Capone, impomatandosi di pessima brillantina i capelli e facendosi crescere quei pochi e radi peli sotto il piccolo naso certamente aquilino che lui chiamava pomposamente baffi. Frequentava, anzi “imponeva” la sua presenza anche nel bar, dove la sera ci si ritrovava per una partita a scopa o a biliardo e spesso noi si evitava di andare al cinema o di fare roccolo per raccontarsi barzellette: bastava dargli spago ed ecco che Funsin prendeva la scena e non la mollava più, fino a notte inoltrata e fino all’ora della chiusura del bar. A questo punto credo sia necessario collocare nel tempo e nel luogo l’aneddoto che sto per raccontarvi. Era il 1969, anno tragico per Milano e l’Italia tutta, e l’episodio si “consuma” esattamente in Via De Sanctis, periferia sud di Milano nella zona anticamente conosciuta come “La Baia Del Re”, per la storica presenza nel quartiere di un noto esponente della mala milanese, chiamato giustappunto il Re. Il bar in questione era proprio all’angolo della succitata via che sfocia nell’Alzaia Naviglio Pavese, dove scorre pigramente uno dei due Navigli di Milano, quello cioè che torna a Pavia dopo aver portato le acque del Ticino a Milano, col nome di Naviglio Grande, ed essersi soffermato nella darsena di Porta Ticinese per poi ripartire. Era dunque, come si diceva, una sera notevolmente nebbiosa e noi tutti si bivaccava nel bar in attesa di decidere come ammazzare la serata: scopa o biliardo?

Natale con un Angelo

Non volevo scrivere. Fino all’ultimo c’è stato un briciolo di speranza nel mio cuore.
Piccola, piccolissima speranza ma mi do   sempre  la possibilità di avere una porticina aperta e di ricredermi. Sto ora in cucina, fra i fornelli, guardo ogni tanto i tegami, non vorrei bruciare ciò che sta cuocendo, non ho una grande abilità culinaria da cinque anni a questa parte.
Sono molto distratta, incomincio un qualcosa, lascio, passo ad altro, lascio e ricomincio da capo, spesso c’è “un fil di fumo” che si sente per casa: qualcosa si è bruciato. Perciò oggi devo stare attenta, è Natale, Natale 2009, il quinto senza mio figlio.
Se ne è “andato” in una grigia “forse grigia, forse pioveva, forse nevicava” non ricordo, ricordo soltanto mio figlio.
Dal primo istante ho pensato e capito che Francesco, il suo andare, era una cosa solo mia, di mio marito e di mia figlia. Ma c’era tanta gente attorno. Gli amici di lui che si abbracciavano tra le lacrime, impotenti nella loro disperazione e vera sincerità. I parenti, gli zii costernati e forse anche un po’ addolorati. I cugini, un paio con sincero dolore, gli altri un po’ annoiati per aver rotto il loro tram tram.  
Mi sono all’attimo sentita incredula per tale partecipazione, specialmente, e onestamente, solamente da parte dei parenti e cugini. E’ stato soltanto un attimo di dovere da parte loro, ora mentre scrivo ne ho la più fervida certezza.

Cartolina dal fronte

  Mia cara, io sto bene, tu come stai?
E’ tempo che gli ultimi sforzi, affinché il tragitto comune che ci condurrà alla Baia Della Tranquillità venga completato, siano compiuti all’unisono. Finora il nostro incedere bislacco ci ha fatto conquistare pochissime postazioni. Come ben sai il nemico non arretra di fronte ad un ghigno guerresco e una danza traversa da vecchi granchi, nemmeno di fronte all’agitare di chele consunte dal tempo, dobbiamo quindi affilare le armi e perfezionare la nostra strategia. Un maggiore affiatamento nell’incedere verso la meta comune io credo sarà fondamentale per l’attacco finale. Sono ben conscio della difficoltà della nostra impresa e ti scrivo questa cartolina pur sapendo che i tuoi preparativi fervono e sono a buon punto ma, ti prego, affrettati e raggiungimi presto. Il nostro nemico comune, Kronos, non perde tempo, è ben attrezzato e lo scontro si prefigura cruento. Da quassù, dalla mia postazione di avanscoperta, fatico a tenerlo sotto controllo e la tua forza sarà decisiva per sconfiggerlo. Ti attendo con ansia e ti bacio. A presto, Franco.

Panico

Sentire il respiro estinguersi
lasciare la vita negli angoli
sentirsi bruciare dentro,di un fuoco che non riesco a tenere a bada. D'improvviso fa male questo calore che sale in gola. Sento la mia carne in apnea, in una camera con ceneri di arti sparsi. Oramai divento una carcassa, l'unica differenza è che poi torno a respirare e a muovere parole. Il vento... che mi sbatte contro. Una frusta che annoda i capelli.
Difficile arginare queste fiamme di vita e le lacrime chiedono libertà, ma la forza di ascoltare il loro richiamo non c'è.Non sento nulla fuorchè la paura di dover elargire sorrisi, paura di ripetermi:-...ce la puoi fare Mary!-.In fondo però, Come posso lamentarmi io, che ho questo meraviglioso dono? La salute nel corpo, due polmoni gonfi di aria, una mente con cui costruirmi il mondo che vorrei.Come posso non apprezzare e non vedere quanta fortuna ho nel poter baciare le persone che più amo al mondo. Poterle abbracciare...
Da troppo tempo non faccio altro che lamentarmi. Sono diventata cieca, provo fatica anche nel lasciare i miei pensieri liberi, come se avessi già smunto questi pensieri della sostanza che mi appartiene. Anche giocare e prendermi in giro non riesce. Era la cosa che più amavo, come lo  stare carponi sul pavimento e guardarmi dal riflesso di una finestra per ridere delle mie pose a sembrar quasi piu bella e più diva. E' da tanto che non guardo in uno specchio. L'unica cosa che mi riesce bene è dormire...abbandonarmi su un letto e cercare di coricarmi, per non sentire lo sforzo nel trattenermi, lo sforzo di sollevarmi, la fatica di parlare... Ah si, mi sono stufata di parlare e mio fratello dice che sono diventata una "predicatrice". Sento questi 24 anni come un macigno. A volte mi cimento in mere litanie, ma non sono cosi avvezza al mondo come credo di essere.
Vorrei vorrei...
Troppi vorrei. Prima pensavo che i sogni fossero uno dei miei punti di forza, ora sono quasi certa che era la bugia più grande che potessi raccontare a me stessa. E ora i silenzi, quelli che servivano a ricaricarmi, quelli in cui sentivo i respiri più dolci, quelli in cui mi abbracciavo...momenti in cui affogare nella mia malinconia
 
 

[ .nero.veleno ]

Scenderò sotto la Pelle in questa Ultima Notte
che mi porta a sospirar Follia
Solcherò gli ultimi limiti
che svestono la mia coscienza  irrequieta
e farò Nuda [ priva di pudore ]
questa Donna che porta un nome infame
Un nome che tradisce la sua Natura
ed il suo Ostinato discenderne da Ossa

Incrocerò le fughe dell'Anima Mia
Le incontrerò nei miei letti disfatti
ed avranno chiodi come lenzuola
e stoffe lacerate negli Altari dei biechi sogni
come Austeri Cimeli
[ strascichi di fiati ]
il tutto arricchito dalle Voci Cadute all'Inferno

Riuscirò a sorridere senza Maschera
[ al Mio Carnefice ]
sarò la Lotta con me stessa sulla sua lingua
La protagonista assoluta del suo Niente
viziandolo in Vena di Neri Veleni
ed Origami di Carezze
e Vincerò sulla mia Morte
come Immobile Corpo Ignoto
donando all'Imperfezione di un'Insipida carne
la Liquefatta sembianza del Piacere Assoluto
che si ghiaccia nel suo stesso gelo
divaricandosi in In_Giusta Pazzia

[ veleggerò come pugnale di carta sul suo volto al solo nascermi in sorriso maligno ]

[ R.uN.a ]
 

ADP

Al mio gemello, Max Pagani, al quale ho rubato
 
di sana pianta la frase finale di Yarik in ADP1 e il bel
dodecasillabo che fa da titolo e da chiusa a ADP2 .
 
E a Daniele, il mio Yarik...
 
ADP1
 
   Yleana si svegliò all'improvviso. Non c'era nessuna luce. Istintivamente allungò la mano per toccare il corpo del suo compagno, ma incontrò solo il freddo del muro di metallo. Si trovava in un letto singolo. Ma come diavolo...? Scosse con forza la testa, come si fa con un vecchio strumento che non funziona a dovere e finalmente ricordò. Era in missione, un'altra volta. Si sentiva un po' stanca di ritrovarsi in luoghi sconosciuti, ma tant'è. Era il suo lavoro, il suo dovere, non poteva farne a meno. 
 

Si alzò con calma, con la consapevolezza di non sapere ciò a cui sarebbe andata incontro, là fuori. Fuori... Nella stazione orbitale in cui era nata e cresciuta il fuori era letale e magnifico. La danza delle lune intorno al suo pianeta originario, ormai ridotto ad un deserto inabitabile, era uno spettacolo di tale bellezza da essere quasi insostenibile. Per questo i globi visori erano quasi sempre chiusi. Solo gli innamorati, essendo già a contatto con l'infinito, li aprivano, ed anche lei l'aveva fatto quando aveva conosciuto Yarik. Yarik... chissà che starà facendo adesso. Lontano migliaia di anni luce da lei.
 

Gli Anziani non avevano mai rinunciato all'idea di trovare un altro pianeta dove andare a vivere, dopo che avevano distrutto quello in cui erano. All'inizio, era parsa un'impresa impossibile. La svolta erano stati i balzi spazio temporali. Venne creato il corpo degli esploratori, di cui lei faceva parte. Cercavano un pianeta simile al loro, anche abitato: l'inserimento di ciò che rimaneva della loro civiltà non avrebbe comportato troppi squilibri, purché gli abitanti non fossero troppo diversi morfologicamente. Erano appena un migliaio, a vivere nella Stazione. Erano tutto ciò che rimaneva di millenni di storia.
 


E Voi

Io sto male, ma male malissimo, bene che meglio non si potrebbe stare. Solo ignorandomi, annullandomi, vedo una soluzione.
Pensare anche al cibo dato, ad una trasmutazione a farfalla una buona volta, mi verrebbe utile. Poi metterei le ali in proprio.
Altrimenti chiedermi: mi sarà possibile essere nessuno, sempre? E Voi ?
 
P.Es: il cibo, il cibo

Io sto bene, tu come stai?

Io? adesso si sto bene. Ho portato la biancheria in lavanderia a gettoni, sai, ho approfittata dell'orario notturno: non c'era nessuno. Ho fatto in un lampo a metterla dentro. Poi, era perfetta, linda e asciutta. Sapevo che se fosse seccato, sarebbe stato un problema lavarlo via. Come ho fatto? Certo non è stato semplice, dopo anni e anni di convivenza, sopportazione e compromessi, poi uno esplode!
No! tu non puoi o non vuoi capire. Queste cose bisogna averle vissute o viverle. Un giorno dietro l'altro, con le spalle al muro, per quieto vivere. Perché ci sono i figli; il mutuo della casa; lei, sua madre che - poverina - è rimasta sola e viene a vivere con noi. E tu, sempre più nell'angolo, devi dare spazio, per il bene della famiglia. In fondo che ti costa? Qualche libro in meno, qualche film o rappresentazione teatrale che - forse - daranno in tv; gli amici, che è meglio perderli che trovarli e, poi, il massimo: "devi smetterla di guardare le altre donne". E che cazzo! Ho trovato lì l'accetta, con la quale ad agosto, mi aveva detto di preparare i legnetti per accendere il camino, e ...
Ora sto meglio, credimi.

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