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blog di fabiomartini

Autodafè

Luna, tu che fuggi via,
tu che il mio strazio ascolti,
urla a Cristo adesso
che riaccenda la tua luce spenta
per favore.
 
Il mio cuore strappato via lentamente
dal profondo di questo taglio
mai più, il mio domani
altre notti vedrà.
I prossimi sentieri per voi
saranno rosso demonio
troverò selvaggi mattini
e tornerò da voi per maledirvi.
Di nero mi si accusa
e di un raggio rubato...
 
Dalle nere bestie sanguinanti
di Cardinali Uffizi, io muoio.
Gettate i vostri cuori
e non piangete
o voi che guardate lo scempio. 
Rispondete piuttosto
con urli di rabbia
che non sian peggio dei miei latrati.
Cosa esigete dai gatti neri?
Che i galli sputin sangue
sulla nera sabbia?
 
Confessioni mie, strappate
supplizi miei ...urlati.
Ma il coro langue e le paure
che strappano le carni
ai cani voi gettate.
 
Travaglio di dolori in questa stanza oscura
di pinza e garrota.
Il fiato che manca allo strazio
non mi uccide ancora
e non svengo a queste catene.
Dolore e fustigazione a ferro e fuoco
e io brucio dentro.
La morte, unica amica,
da Santo Ufficio frustrata
mi cerca.
 
Dal carcere alle torture,
mai bando fu peggior galea.
Pena e morte più che mai voluta
alimenta il rogo del vostro dio.
Processione di giustizianti
che siamo noi dannati.
Il Santo Uffizio erige a noi
l’impalcatura del fio.
Pregate il sermone

Sbriciolando monumenti dal tempo

Quel suo vestito rosa, nascondeva
un corpo da favola, amico mio, sapessi
(sorrido quand’oggi ci penso, così smaliziato)
che corpo che aveva…

Si era ragazzi allora,
il terreno sotto ai piedi filava come la luce,
il suo muoversi di ragazza dai capelli biondi
(sempre a passarci in mezzo le dita)
e rideva e ridevano i suoi occhi verdi.
(I suoi occhi verdi la nostra passione)
che a raccontarlo si parlava per ore
(e ne parlavamo, eccome, se ne parlavamo)
ed io, che avevo strapazzato quel cuore,
io, lo posso dire. Io, che avevo guardato
nel fondo del fondo del verde,
del fondo, del furbo, dell’iride che aveva
e si scherzava.

Si ma poi?
Poi sai come vanno le cose,
aveva scelto un altro
(sorrido adesso, ma come rimasi…)
mi aveva salutato con un sorriso d’estate.
La ricordo come adesso quell’estate.
Forse l’ultima estate del sole che si nascondeva
tra i grigi mischiati dalla scogliera di Nervi,
dove la sera scolpisce i ricordi,
tra un rosso-viola di un sole al tramonto
che i pittori siedono e lo fermano lenti,
sulla loro tela.

Si ma lei?
Adesso ti racconto.
Ricordo si perdeva nella folla disordinata,
e si voltava dalla passeggiata, salutandomi,
cercandomi tra gli amici e sorrideva.
Io di rimando facevo arrivederci
chissà se mai l’avrei rivista più.
Ma il destino a volte perdona e condona tutto,
a volte scolpisce monumenti di ricordi
e si perde nel tempo.

Cosa vuoi dirmi?
Volevo dirti che li vedi spesso camminare
mentre giri per negozi o aspetti il verde
di una strada principale.
Li vedi trascinarsi pesantemente dondolarsi Leggi tutto »

Se un giorno tu dovessi.... andare via

Ricordi quella rupe
a Lanzarote
rivolta la sua spiaggia
alla Graziosa?
Ricordi che dicesti:
“Se cadessi”?
Allora ti risposi: “Io,
ti seguirei”.

E ancora oggi io
ti seguirei,
nulla senza te
sarebbe uguale,
se un giorno tu dovessi
andare via.
Volando allora io
ti seguirei.

Piuttosto che restare
qui a contare,
le notti che non portan
più mattini,
verrei via insieme a te
amore mio,
e insieme a te
io lì...

continuerei.
 

Ni un paso atras

È vero che non avevo nulla da regalarti
e tu non avevi nulla da ricevere, eppure ridevi
che il clown scivolasse lento.
Consolavi il mio sogno nascosto
senza niente da perdere,
tu che dalla vita dovevi solo comprare,
io che dalla vita dovevo soffrire
e in quel momento si cominciava
noi due, seduti che s'era
su quell'ultimo autobus
nella notte dai vetri riflessi. Leggi tutto »

Sobrepena

Un atavico suono di tamburi lontani
muove l'aria pesante (quasi densa) tra i rami al vento.
Una specie di miele lavicamente vischioso
dalle porte del tempo, dal profondo, da sempre
racconta chi siamo dal nostro millenario calpestar la terra.

Mischiati a questo, cantilena di rumori secchi:
un can c'abbaia all'ombra di luna oltre ogni dove
appeso anch'egli a quel narrar di guerre
a seguir la padrona specie "Da Secula Seculorum... Amen".

Quindi io... al rimpianto dei miei peccati di dozzina
gabellato da sempre, ritto alla porta
teso l'orecchio all'aer del remoto ascoltio a secchi
rumori, che dal sonno strappato questa sveglia impone.

Suoni perduti e ritorni... Campane a presagio di sogni incantati
urli notturni che sferzano como el viento quest'uscio.
Assi a me spinte... nuovamente poi ritese
come un rilascio di cuore dopo il batter suo naturale
(tale e tanto) che i chiodi a mano lavorati a fuoco e ferro
divelti saranno in un'implosione di legno e schegge.

Imponendomi quindi ai glaciali rumori: ascolto
silenzioso e teso, laddove anche il minimo respiro
confonderebbe la provenienza mischiandone quei dubbi
che già d'oblio mi perseguitano.

La mano mia che trema, or dissennato io, e sperso
impaurito sto, tra un tremolio di mani
e l'innaturale momentaneo palpito del mio cuore.
Come in sequenza di tuoni, odo:
aghi di pino e rami d'ulivo, lungo il sentiero
mossi e spezzati da passi lenti che strascicati
obscuramente vengon posti.

Un pellegrino vestito di stracci, opino:
un magro bambino col viso smunto
o un vecchio insolente, irriverente e stanco
la cornamusa ripete la sua tiritera eterna
del colpo alla morte e uno alla vita.

Il breve temporale tra'l passato e il venire.
Un'ombra scura infinita, di gufi e spettri,
fantasmi e cenci, muschi odorosi e velenosi funghi.
Che un calzolaio (o un povero sarto)
col suo asso mancato, e il suo pugno di fango rappreso da un lato
come un santo arretra con mano tesa e l'altra
come un "retro vade satana" che non so qui spiegare...

O un cieco, o uno storpio qui alla mia (povera) dimora
a chieder mangiar che neppur'ho per me...
Ultima mia, dicevo, povera dimora
che nascosta con parsimonia da occhi indiscreti
in questo remoto bosco... nessuno dovea trovare mai.
Che il mio cuore spento non vuol più amare il prossimo
e bussa forte e piano, a volte stanco... e penso:
"O, il Santo di "Sobrepena" stanotte passa qui per caso
oppure è la fine... e questa volta, certa è la fine".

Poi la paura torna a bussare, non del morire
ma del dolore di chi lascio senza voluto farlo... soli.
Infine, uno strascico, un pianto antico
un portico infinito che dal nulla sbattuto quin'divelto.
Poi'l tempo fugge, poi ancora vento, e buio e freddo
e la notte di luna piena appena 'parsa
io che gl'avvicino lento l'udito... poi di scatto muovo verso...
Io... l'umano (pensate) che passo all'erta.

Quindi un lampo, la decisione, un istante d'azione
pronto io, al terrorizzato no urlato a tutto cuore
avvolto come paio, da un acquiescenza risoluta
come una attiva rinuncia
ma un braccio armato di tremule lacrime sparse
tra un pianto spezzato e la reazione ultima
guerriero che sempre è in me, mai dimenticato.

Ricordatemi così (direi se fosse l'ultima: "Pronto a morire"...
Don Chisciotte io, con l'arme alzate e il cuore in mano...
orgoglioso che questa voce impaurita a tutto diaframma
(unica arma che ormai mi resti) spaventi il nemico...
ed esco brandendo l'urlo...
ma ai pochi passi dell'impeto mio adrenalinico
da furore a introspettivo panico infinito di questo "fuori"
mi guardo intorno...

Dove sono il pellegrino, lo smunto bambino, il vecchio insolente
i gufi e gli spettri, cenciosi i fantasmi, i muschi odorosi
i velenosi funghi
E quegli strani rumori? L'atavico suono di tamburi lontani
l'urlar del vento, l'abbaiar del cane alla luna? Dove sono?
Nulla... nulla di nulla, pur guardandomi intorno
all'infuori di me, nulla di nulla.

E or la mia mente dispera, tra i suoi due me:
quell'appoggiato ai ginocchi così piegato che sta
coll'urlo impavido abortito... e quel che sghignazza dentro
quel nemico mio ché da sempre in me.

Raspo terra tra lacrime mischiate e rabbia
Le dita che impastano fango inginocchiato ancora
Parlo col sarto
che nel mio cuore sta ogni istante.

Io, sempre l'io mio, solo ogni volta, notturno in silenzio...
ancora una volta... raccolgo anch'io...
un povero pugno di fango rappreso... Leggi tutto »

"Come un muro a secco"

Vorrei scriver di te.
Del sogno mio: "L’avverato".
Pantocratore il tuo sorriso.
Aristocratico tuo
…il camminare. Leggi tutto »

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