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blog di fabiomartini

Cronaca di un sogno annunciato.

Stavo camminando per un rettifilo affollato, come può essere la strada principale di una grande città, con le mani nelle tasche dei jeans e completamente all'oscuro di dove stessi andando. Dopo un diverticolo mi ritrovo in una stradina laterale stretta e buia. Cammino spedito. La strada stringe e diventa un vicolo in leggera salita. Le luci più prossime sono lontane. La salita si fa più salita. E quindi in cima, mi si presenta immenso un mare stranamente insolito appoggiato su una spiaggia lunga e deserta. Il buio diventa sempre più buio. Più di una lavagna. Più buio della paura che ormai prende il sopravvento e in evidente disagio mi giro d’istinto per tornare indietro. Ma il vicolo dal quale sono arrivato non c’è  più. Al suo posto c'è un sentiero parallelo alla spiaggia, che più avanti sale sopra ad un monte in cima al quale, c'è una vecchia ferrovia in disuso e delle casematte da contraerea. La spiaggia invece prosegue a perdita d’occhio. Laggiù, dove vedo e non vedo, laggiù in fondo, c’è un bambino che gira in moto sulla sabbia. Mi sembra di conoscerlo anche se lontano. Si, è un compagno di scuola delle elementari e sembra che il tempo per lui non sia passato.
Gli lancio un urlo per chiedergli un passaggio e lo vedo prontamente farmi un cenno d'assenso. Quasi sorride. Gli occhi sono appena socchiusi però non si ferma, anzi accelera. Io resto come un ebete a guardarlo mentre si getta nelle onde.

Io c'ero

Sai chi c’era quel giorno? Ebbene, te lo voglio proprio dire. C’ero io. Si, proprio io, quel giorno che il sole picchiava duro e il vento... benedetto signore, che vento quel giorno! Sensazioni di giorni che faranno epoca… Il vento di Genova poi... è un vento che noi conosciamo, eppure ci prende ogni giorno alla sprovvista. Che piova o non piova, da sempre noi, siamo abituati a quel vento. E ogni giorno dal vento ci lasciamo sorprendere... noi genovesi. Ah, e quel giorno eravamo molti e non soltanto genovesi, anzi viene da dire: tanti... troppi. Il corteo si staccava per chilometri e chilometri. Pensa, si parla di qualcosa di chilometri e chilometri. Ottocentomila persone ammucchiate a camminare. Ottocentomila facce sudate. C’era aria di festa lì in mezzo ai nostri passi. Trovavamo che fosse un modo di rispondere. E dunque si rispondeva e si urlava in tutte le lingue, urlavamo per le cose essenziali, vitali per il mondo (e non dimenticarti mai amico mio, che il mondo siamo noi), ed infatti eravamo noi e io c’ero caro amico mio. Peccato che non c’eri anche tu. Saremmo stati insieme senza saperlo e adesso lo saremmo sapendolo.
Il corteo si muoveva lento e molto spesso non si muoveva neanche. I bambini sulle spalle dei papà, le mamme attente a cosa pioveva dal cielo. Da tutta Europa e dal mondo (ma ti rendi conto?) un appuntamento naturale, come innaturale invece sarebbe stato l’andamento delle cose. E adesso che ci penso, forse quel vento eravamo proprio noi sotto quel sole che ci teneva caldo. E sotto quel sole ci sentivamo al sicuro.
Ricordo la città. Era divisa in tre. Da Levante si poteva arrivare, ma non da Ponente, (per via dell’aeroporto e da Bolzaneto per via della caserma della polizia), ma come un muro, si poteva scavalcare dai monti.
Tu non conosci Genova, avremmo scavalcato insieme se ci fossimo conosciuti allora, ed il corteo era una grande festa di bandiere colorate. Eravamo convinti che non sarebbe successo nulla (e si sappia che l’ala dura è sempre stata lontana dal cuore di quel corteo).
Bene amico mio, al pomeriggio del giorno prima c’erano già stati i primi scontri, gestibili se vogliamo. Ma il sentore c’era. Si sapeva già come si muovevano, già si sapeva come si sarebbero mossi, ma forse qualcuno doveva, o forse qualcuno voleva, che le cose avessero un diverso andamento.

Oceania

Ho chiuso
la mappa dell'Oceania
e allontanandomi
ho accompagnato
un forte desiderio di spazio.
Se pensi
che abbiamo lavorato la creta
ieri montavamo
transistor ai congegni
oggi sui piani e le pieghe del pianeta
soltanto byte.
Si vedono segni
di ambizioni enciclopediche
con la curiosità che lentamente
leviga la lente.
Se penso che veniamo dal niente
eccomi sui rilievi dell'interno
dove riavvengono
le riesumazioni degli assassinati.

La città al di sotto dei pendii
si concentra nel golfo
la distanza distillata dai rumori
restandone attento in ascolto
è lenta,
lentamente percepisci
la grande sfericità del mondo.
Le rivolte segnano
la deriva dei continenti
e l'eco delle brutalità
van cercando
protezione dai tormenti,
i bambini
gridano nel bosco
passa il tempo
e provi attrazione
in presenza di un battito di ali
o di un respiro.

Vorrei trovarmi
ovunque si sorrida
ovunque
si trovino simpatie
e nascano
correnti di tepore tra due.
Vedo gente
di cui penso,
possibile che non abbiano idee
nei gesti che fanno
e che senza alcun compenso
compiono?
Anche
trasportandoci la catastrofe
l'apocalisse non guarirebbe
il passaggio
nemmeno di un attimo
del presente.
Saremmo comunque
stati sempre
e nel vuoto resteremo
presenza.

Per adesso
si dia credito alla voce
ancora

per domani.

Una giornata particolare

 
Sulla facciata grigio chiaro
del nostro scolorito palazzo
qui a Pietrogrado a un passo
dalla Prospettiva Nevskij,
questo nostro inverno russo
sta appeso alla ringhiera di ferro
e sui cornicioni
del ghiaccio che scioglierà
solo in estate.
 
Tuo padre tossisce ancora
"Ci vorrebbe del pane" sospiri.
Io penso: "Non si può continuare così".
Dai vetri della stanza
il brusio assordante
tra il vapore del nostro fiato
è la gente in strada.
Tutto è un fiume in piena.
 
Le campane suonano anatemi
a coprire i colpi dei cannoni
dell’Aurora sulla Neva
e della polizia sulla folla che muore.
Un istante e anche noi siamo giù
e si rotola
e si spalanca il portone.
 
"Se vuoi baciami adesso amore
io sono qui o subito o mai più".
Poi quasi urlando:
"Fallo dai che aspetti potrebbe esser l’ultimo".
"Oppure il primo rispondi"...
"Che si cominci a mangiare almeno"
sussurro tra me.
E tu... sei bellissima.
 
Sulla strada la gente vola
e anche tu, anch’io
sulla strada voliamo tutti.
Volano i nostri vent’anni.
"Ho imparato a odiare" penso
"la fame mille cose insegna"...
 
Sbatte nell’aria la rossa bandiera,
terremoto della terra che muove
questa terra che urla.
Le gocce del fucile piangono.
Strepita nell’aria il nome di Lenin
che dal camion con impeto
piega il braccio avanti.
Latra nell’aria il tuo cane
che morde il culo a chi scappa.
E sulla Prospettiva Nevskij
fischia il vento e la folla è immensa.
 
Tu corri, io dietro.
Uno straccio rosso al polso
io al collo.
Che da stasera si ricominci a vivere almeno
senza morire più
di fame...
 
 

Sera a Madrid

 
Un giorno tra i tanti
una sera in arrivo
Plaza De Espana
è un crepuscolo rosso
auto che al volo mi guardano
e scendo la scala
di questa metro
che porta profondo
poi ancora esco.
Un senso di freddo
mi avvolge di nuovo
sciarpa sul collo
e chiudo gli occhi
il vento spinge
nel cuore i ricordi
e sorrido
per questo sapore di Genova.
Bassa la testa cammino
le mani in tasca
guardo i miei passi
le scarpe degli altri
sento un musico pianger gitano
percorro Gran Via
son tutte accese le luci stasera 
El Corte Ingles
ha i soliti cuculi appesi
di ogni Natale in arrivo
bimbi immobili li guardan storditi.
Oltre, cammino
incontro Joaquin.
"Qui, han camminato Pablo e Garcia"
e aggiunge "Lo sai?"
Rido, "Come non so?"
Scambiamo due chiacchiere dos tapas e via
dietro ad una clara facciamo poesia
la nostra poesia...
È un sogno reale
è un colpo di vita
questa storia infinita
con te...
 
 

Baktun

 
Come si chiamerà la notte dell'uomo
da questo palazzo del mistero?
Tiro le fila di questo immaginio
e mi domando
se al muro del pianto
o all'alba dell'appena volato
quando gli angeli scenderanno dal cielo,
cercheremo forse scuse
le prime a venire
oppure
mormoreremo guai,
i motivi per cui,
i più reconditi e tristi pensieri,
o il lamento,
quello dell'eterno
reptante che scoda.

 

Quando gli angeli scenderanno dal cielo,
forse avremo
frottole da enunciare
erette apposta
salvando bibbie su bibbie
che ognuno s'è inventato,
sventolando magari
finti libri neppur mai letti
o anelli preziosi
da elargire appena il buio
compie le prime mosse
o celando altre gioie fasulle
che sempre non vengan mai... a mancare.
Pronti, non ultimo,
a nasconderci nel buco del topo
come sempre mentendo
proferendo perfino
l'ennesima stupida eterna bugia
perfino a se stessi.

 

Quando gli angeli scenderanno dal cielo
viaggeremo di notte
perché la notte sarà il giorno
e Neda distesa per strada nel sangue
nuovamente rialzata
come un ritorno di vento
appena volato sorriderà di nuovo,
e noi, millanta polmoni a fuggire
navi sul mare
sommergibili austeri
tappeti di corda e funi di rame
scelte esaurite
e i piani... più tasti.
Ahimè
saper perdere non fu insegnato. 

 

 
Quando gli angeli
giogheranno la terra,
dei ributtanti la mano
col ghigno sornione
farà impiccare il nostro vicino,
il parente lontano,
il fratello di sangue,
perfino una madre
se fosse essenziale,
salvando i piedi e le scarpe
per lacci e ricordi a stringer paure
del collo appeso...
Ad uccidere pur di rimaner
in qualche modo, vivi.

 

Quando gli angeli scenderanno dal cielo
Getsemani sarà
umanità avvizzita
e il vento uno stupido che sferza il passaggio.
Piaghe profonde aperte
la terra, un mare in tormenta
e le nostre paure... il nulla.
Un immenso fragoroso nulla.
Quando gli angeli cadranno dal cielo
saremo polvere di presagi finiti
oppure sopiti percorsi di vita,

 

 
seppur male... vissuta.

Nato in Italia

Sono nato e cresciuto in Italia,
l'Italietta nostra di sempre,
stivale da calcio in culo e camminare
col sudore rappreso e un fazzoletto al collo,
mille volte delusi noi mai fuggiti,
eterni viaggiatori di idee incomprese
da giustizieri al potere a schiacciar
l'idea sinistra, che da sempre paventa.

Girata in lungo e largo da truppe dispotiche
torme teutoniche e lavorata bene
da chiunque la passasse col cappello in mano
a domandare mendico o sudando
e nell'altra il solito manganello a rispondere.
Perseguitata sempre da correnti a caso
da politici tecnici dell'ultim'ora,
proseliti, garantisti, demagoghi del nulla.

Ieri col coraggio di Dio e spinto dalla giornata
di desertica canicola e sole, camminavo
nel calore estivo di questo millenovecentoventicinque.
Occhiali da sole lui sul lungomare e camionette
a sputar improperi d'urli e cori.
Canottiera di bimbo col gelato in mano
che stringe l'altra al padre voltato da parte.

Sguardo irriverente il mio che guardo il mare
nell'assolato odore d'acre salsedine mista ai tempi
con l'ultimo sorso di granita appesa al labbro
e un inno inutile nell'aria una specie di alalà.
Un sorriso appena accennato il suo
dell'indisponente in camicia nera
con torbido potere mi puntava contro
(dietro al bimbo del gelato)
e chiodava gli anfibi al passo.

Le palme urlavano Tripolitania bell'abissina
con le fronde verso il porto come bandiere.
E ora il padre prende in braccio il bimbo
gelato e tutto e allunga lesto il passo
sull'italico lastricato d'intenzioni perdute
sempre eternamente depresse.
Evaporato il ghiaccio tra le mie labbra
dal quale non volevo disfarmi,
fermo un istante il tempo e raccolgo il che fare...

Dalla camionetta un cassone di insulti
al comunista, all'anarchico, al brigante
del chi se ne frega, che il duce Benito è solo lui
e via così... cantilena nuova già stantia ormai.
Mancavano pochi passi al manganello
che il grigio mi è vicino che gli giro un pugno al viso
e cade mentre gl'altri rotolano già dall'inutil carretto
e mi sono addosso e giù calci e pugni e svengo...

Tanto mi picchiano che mi sveglio sotto casa
piena di auto... un'esagerazione d'auto, piene di colori
col vestito nuovo proprio di ieri, perfetto e pulito
con la mia cravatta della domenica
e una signora che domanda se sto bene, io che dico si
e mi allontano che sto benissimo

solo un po' spaesato

Leggo la locandina e la data di ieri,
mezzo Dicembre duemilanove,
eppure non sono invecchiato, pure pettinato
che mi guardo allo specchio della vetrina
e mi vedo. E sul giornale che non conosco
leggo il primo ministro contro il presidente
e c'è una foto a tutta pagina
una camicia nera tutta d'azzurro perfettamente intonata
un sorriso il suo dell'indisponente
in un torbido potere che sfugge.
Verso di me, un padre in occhiali da sole
e un bimbo per mano nato e cresciuto in Italia.
 

Un'Italietta la nostra di sempre, a cui spesso
basta solo un gelato...

Speculi specchi

Ho deciso,
per te scriverò ali e gabbiani
che sul mare planan volando
e suoi
i vecchi dintorni persi senz'orli
ritorti
eppur sempre verdi
ai miei anni, che dentro porto
volti e riavvolti
e perenni sempre ai miei gesti.

Vecchi,
ai miei quotidiani mentimenti e spesso
passilenti e nottetempi
o antichi pentimenti
da sempre dico miei 
come fiori amati
sfogliando foto a quinterni
dagherrotipi grigioseppia 
impoveriti sempre ai miei gesti.

Cammini marinai
e vecchi senz'onde,
nuotate perdute
e vele salpate e donne aspettate
eppur vivo sono... per sempre
e ancora.
Grido di gabbiani in volo, dicevo,
d'ali,
che guardo dal basso all'alto
mistando a vino
opachi euro sfuggiti
mai più (ahimè) giammai tornati.

Eppur sempresalto,
getti al mio ponte i sogni di gatto
che gatto son gatti

quei balzi di mare
e farsi guardare
e speculi specchi, latenti e schivi.
Concorro fuor tempo
oppure da sempre
occhi miei tesi
che io già sollevo e sempre,
che sempre con gli occhi nel cuore
in mano, da tempo io osservo
che mai e poi mai io
lisci piano e piano carezzi
i magici giorni che vivo con te...
 
amor mio.

Il pifferaio di Hamelin

 
Ricordi quel motivetto
che ballavamo
in quella notte d'estate
dove le zanzare facevan baldoria...
Un foxtrot impazzito
che solo noi danzavamo
rubando la musica che lontana
suonava
anzi, eri tu che danzavi e ridevi
su quella rotonda abbandonata
davanti al mare...
e poi seria mi abbracciavi
io lì a te m'appoggiavo
che l'amore mi pareva un tempo
al quale perduto tempo anch'esso appoggiasse
e camminavo nel corteo
tra i passi lenti e nottetempi
di cui già parlai altrove...

 

 
O forse così doveva
essere
per quel foxtrot tutto per noi
per quel contrabbasso al suo contrappunto
e la chitarra appena arpeggiata...
Ricordi che io avevo
il cuore giovane
e un fazzoletto al collo
e che l'estate era lì
arrivata da un po' che già l'onda sfuggiva
sottovoce parlando
come il pifferaio di Hamelin
sul ponte dell'acqua sorgente
che bella e trasparente scorreva
lungo la gola di quel lupo
che diventato sono
e tu, una collana di perle come neve
che ancora giocherellava
tra le tue dita,
davanti alle labbra del tuo sorriso
tutto rose e coriandoli a primavera
e bouquet di fiori d'inverno.

 

 
Ricordi? Come era tutto pianura
e la montagna lontana neppur si vedeva
che ancora stento a credere
che il tempo lemme lemme
tra una nota e l'altra passato
che sento alle orecchie e noi lì
anni interi che mai si fermava
che dietro la montagna ora
quel contrabbasso suona per altri
hai la collana nel cassetto e io
ho un pensiero nel mio cuore

L'arcano sopra le montagne d'Agharti

Spacciano allo spaccio sotto la mia casa
stanotte
sento fare i conti al fruscio del denaro
e al suo tanfo infinito.
Un poeta dal cervello fino
bussa la mia porta stanotte,
mi guardo l'anello al dito
che fuggir vorrei d'amor,
quindi,
prende fragore il mio passo inquieto
che il vicino del piano di sopra
nasconde da tempo
le mani in tasca
e le scale sale in fretta.     

Marmellate queste mie
al gusto stantio

di sangue rappreso
sconfitto al perduto spettro
che mai tornerà.
Aprirò al poeta ovviamente
solo a lui
ma un semplice spiraglio
tanto per guardarlo in viso
ascoltare
la polvere di stelle
sgorgar di storia
raschiato vento.
 
 
Eppur qualcosa sfugge
che se sfugge indulge
seppur'io da sempre
indulga l'indulto.
Spaventato il santo
pulisco
il limbo e sorrido e piango
l'amor dorato perduto il mio
che parla sempre di lei.
 
 
Inutili libertà perdute
eternamente premute al sogno
e dal recinto scavalcherei
stanotte
le insormontabili montagne d'Agharti
dalla rete del tempo
avvelenate pietre
lancerei sottecchi
eppur sornione
rido assente
ormai.

Parlo con lui

la lingua perduta dei padri
l'aramaico questo
dei versi
che viver vorrei.
Affogo di pioggia che non c'è
finché vita non c'è
finché vita sarà.
 
 
Che v'anneghi quindi
il suo, e il mio,
malinconico
torpore perduto.

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