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cose così

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Lui sta lì. per stare ad una sedia
che non se la prendesse il mare. poggia
ad un’altra le toppe delle calze. senza i piedi
il pavimento non trascorre. il pensiero va nella stanza
dove cambia il tempo un pendolo. più col suono
che dai segni è ancora oggi.
 
Domani com’è sul calendario più di un santo.
niente di suo beninteso ma buoni per la cravatta
la mutanda candida il sugo con la carne.
domani c’è più vita solida che un culo da spiattellare.
si andrebbe all’altare se fosse casa.
si andrebbe si andrebbe se fosse solo domani.
 
Ora e solo ora s’accorge che il mare è d’acqua.
crede di capire i pesci e il peso che li circonda
lui sulla sedia affonda loro muovono l’onda.
vorrebbe un bacio e se lo dà. non cade
per non vedersi intorno stanco e non si muove.
ama il pensiero e va di qui o di là. stando alla vita
non vive.

Il lascito degl’incontri.

Non verrò quando venire porta altrove
parto invece con il sollecito del nuovo
che accontenta il cuore
e mi viaggia di conserva la speranza.
 
Sono ai binari di tutti i treni che già sanno
che di là si attraversano le stagioni che non conosco
dove mettono ali misteriose le strade del colore.
 
Ma non io, io no, non conobbi le rotaie della luce
le vidi ferme, le vidi sovrastare i viaggiatori
diritte lame al solo trapasso
dei vetri senza ombra.
 
Eppure tra la fretta e l’andare
ha luogo il conto rovesciato dei ricordi
quasi che tra il petto e gli occhi
stia voluta una battaglia di ruoli
il primo a vedere oltre
i secondi fissi sul lasciato qui
dietro l’imposta del certo sono.
 
S’è fatta l’ora delle valige quando suona
alla porta il lascito di un incontro.

Cose Così [in chiaro]

Dall’infinito alla terra
in ogni sospeso che strappa, gemmerò
di buio acceso, svettando
in chiaro, un raggiare di rose.
Ormeggiato ai capelli
dei giorni infuriati, artiglierò
ammanettato ai respiri
fino a sfumare in petali neri,
ultima scia di rondini.
 
Manuela

"Pendule papier de mais"

Vent’anni
è incoscienza che cerca fortuna
è un amore trovato, la strada, il cemento
il tutto riposto nel gruppo, nell’urlo
nell’esclamativo da vendersi al cielo
al coraggio e al cuore
e l’incendio dei tempi
infiammava il vento
e frattanto bastava a volte "l’appena"
l’amico, il simbolo
quell’ideale e la sua parola.
 
Poi lei camminava tenendomi il braccio
le mani mie in tasca e la pioggia leggera
sull’aria pensosa e un po’ ricercata
di pendule papier de mais.
Mar d’amore e cuor che divampa
lentiggini e baci e il vento che fischia
e l’intento era sempre
stupire i fil d’oro dei suoi capelli
e un vecchio profumo che sempre mi porto
di gesti normali che ancor son miei. 
 
Poi regali d’alba e leggeri vuoti, brevi mattini
rugiada e brina e chiarore del giorno
e sole che scioglie il tempo che sfugge.
Eppure con me è ancora qui
lo stesso, l’uguale, l’identico
penna alla mano e l’indigno scritto.
E sempre percorro tuttora di dentro
gli stessi mattini che allora percorsi
con la differenza inconsistente ma vera
che non sei più qui… accanto a me.

una rosa ..

basta una rosa ..

Ancora quella lama che trafigge
non basta andare ai tempi medievali
di cui ricorre nota d'un martirio

quando il rogo bruciava l'innocenza
presunta strega condannata al fuoco
fiamme non solo d'inferi invocati

da tribunali costruiti in loco
la storia una striscia di violenza
continua ancora nelle strade odierne

oppure nei comuni caseggiati
sempre un pensiero fisso nella mente
a costo d'ottenere il desiderio

violenza ottusa un prezzo da pagare
negli infuocati alberghi di campagna
e povere fanciulle in costrizione

per ottenere un misero salario
da attenti e travolgenti compratori
di braccia e vite nella malasorte

quella giustizia di memoria antica
prolunga quei veleni al nostro tempo
eppure basta poco ai miserandi

basta una rosa per la comprensione
un dialogo d'amore di quel fiore
misura d'empatia d'uomo ed eva

 

Copyright © Lorenzo 30.5.10

Quelli del "sabato sera"

 
su lucidi dardi rombanti
a penetrare sarmenti acuminati
in corsa per momenti d'emozione
su nastri insidiosi a giorno illuminati.
a coglier della vita ogni momento
illusi di domar a mano ogni destino
edificato altrove in tanti giorni
senza profitto, solo sentimenti.
seppur vedranno di tra le ciglia chiuse
lo strazio che produce una follia
vogliano l'ultima goccia al cuor mandare
pria che l'arsura se li porti via
per un palpito un ultimo saluto
a chi della loro esistenza fu natura.

A casa del mio ego

Stava nella sua poltrona quasi atono
il bambino di sempre che nello ieri continuato
della nascita mi trovò

Dal libro dei vivi ignari di sè

Si sta così pieni in questo vuoto dov’è la terra!
 
Perché con fondersi?
 
Oggi è il giorno da diverse settimane, ormai.
Si ama e si odia e si accavallano le gambe
come il Nilo in secca:
demone di sventura sulla sete dei gonfi.
 
Pensare un che diverso, allora.
 
Penso alla frescura che ogni fiamma porta in sé.
La sua lama di rinnovo: un bruciore che langue;
la riconversione della passione rottamata;
il muscolo vero dei calendari.
 
Posto che sia quel fuoco
da bere intero, ditemi se non trema
l’anima che antica
va silenziosa al suo angolo di cottura.

I ragazzi di...Viale Caprera.

 Ero il più forte della “banda” di ragazzi di Viale Caprera, non fisicamente ma, il più completo per abilità di lancio, precisione, strategia e tattiche delle sassaiole, fantasia organizzativa. Forse dote militare ereditata da mio padre, militare di professione o acculturazione cinematografica guerresca, che in quei tempi, di feconda propaganda filo americana, riempiva le sale di tutta Italia.
Avevamo la “tana” dentro un cassone enorme, al centro di una altrettanto grande catasta di casse, contenenti pezzi di ricambio per i veicoli degli USA Army, stivate per comodità nella Piazza antistante la chiesa di Crocetta, senza controllo ne vigilanza, che ancora il clima era di immediato dopoguerra – occupazione. La M.P. girava in jep senza alcuna intenzione o voglia di imporre alcunché.
L’avevamo svuotata da dentro, accedendovi dall’interno della catasta, nei piccoli spazi- corridoi, che si lasciano nel mettere un parallelepipedo sull’altro. Aveva le dimensioni di una stanza di abitazione e ancora puzzava dell’odore dell’olio protettivo nel quale erano avvolti le migliaia di carburatori, che erano stati avviati, dagli adulti, al mercatino riciclaggio di Piazza XX Settembre.
Era Gino, “detto German” nome di battaglia e poi soprannome, il capo banda. Qualche anno più della media, più coraggioso e sfrontato di tutti, il meno soggetto alle remore familiari. Spesso violento, sempre scurrile nell’eloquio, che per noi era segno di emancipazione dalla pubertà.

Triste contorno

 
L’uomo alto e magro balla con lei
la luna falce, la sala cielo,
lui stella, lei pianeta.
Guarda in alto, cosa vedi?
Neve vedo... scender… giù.
 
Passa il tempo sopra gli occhi
perché fa cosi?
Ogni anno che va via una ruga in più
sopra il viso.
Guarda in alto, cosa vedi?
Vedo la neve... scendere
 
Ogni giorno che va via non tornerà.
Non si fermerà.
L’uomo alto e magro balla con lei
cometa del cielo.
Guarda in alto, cosa vedi?
Vedo la neve... scendere
 
Apre la finestra l’uomo alto e magro
ogni anno che va, una ruga in più
sopra il suo viso.
Specchio e tempo.
Guarda in alto, cosa vedi?
Vedo la neve... scendere.
 
 ...Sulle mie spalle
 
 

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