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Talvolta

Talvolta
arriva il silenzio
 
mi cade dentro
e m'acceca ai colori
 
calcarea concrescenza

La malinconia di un amore nella stanza degli specchi d'argento

A volte Chopin
le serve per calmare
il suo dolore.

I suoi capelli bianchi
seminati nella stanza.
gli occhi azzurri
riflessi
negli specchi d'argento.

Un bicchiere con un fiore
può ricordare
la malinconia di un amore?
Forse no
perchè un cattivo odore
si sostituisce presto
al profumo.

Le sue mani sottili
sanno ancora raccontare
l'aurora sopra una finestra.
la magia della sua voce
incanta ancora i nipoti
chiassosi
nei giornidi festa.

Il tempo
non ha cherubini
sul soffitto,
ma scarpe impolverate
anche con i tacchi.

E del suo amore
solo sussurri
e bisbigli,
la signora non vuole
si parli di lui.

No, lei
non cerca un passaporto
per il paradiso
e non frequenta la chiesa
al borgo vecchio,
no, lei
preferisce camminare
dove Dio
ha una panchina li ferro
e una fontana
con le carpe
e i fiori di loto.

La malinconia di un amore
sopravvive
alla polvere
nella stanza degli specchi d'argento
e quando un raggio di sole
s'infila,
con la sua mano ossuta
smuove la polvere sospesa
con un mesto sorriso.

Che cosa

Che cosa è stato ripetendomi
rifuggii le ombre della solitudine
i chiaroscuri che d'insidie lucidi
integri come lame d'oro

El Gardelin

Era buio pesto quella sera e Gigi fumava la sua ennesima sigaretta appoggiato al tronco di un grosso albero ai margini del bosco, perso nei suoi cupi pensieri da non accorgersi che la Pina si stringeva con trasporto alle sue spalle sussurrandogli paroline dolci.
<< Gigi…è tardi, andiamo a dormire dai.>>
<< Gardelin?...>> <<Mmmmm…>> << Vieni dai e non farti cruccio, vedrai che domani andrà tutto bene…Gardelin?...Ma cos’hai, cosa sono tutti sti pensieri. Andiamo!>>
<< No, stasera no Pina. >> << Ma perché? >>
<< Perché non mi va, non ho voglia…>>
<< Uffa, quanto sei noioso, e allora resta lì a prenderti l’umidità in testa! >>
Brontolò la Pina e poi mettendo il muso se la filò, quella sera non era aria, meglio sparire, peggio per lui.
Gigi rimase lì, gli occhi fissi giù nella valle, sul suo paese. Riusciva a vedere solo qualche sparuta lucetta di tanto in tanto.
Quanto tempo era che non scendeva a valle? Mesi, no anni. Erano anni che si nascondeva nei boschi con i partigiani, accampato alla benemeglio sotto una misera tenda o in qualche grotta con la costante paura d’essere scovato. Aveva preso quella decisione dopo che aveva visto cosa era capace di fare il regime e dopo che i fascisti si portarono via suo zio, accusato non si era mai capito bene di quale atroce reato, lasciandolo poi morire di stenti in carcere e lui aveva promesso di vendicarlo. Così si era unito ai partigiani che adesso lo chiamavano “el Gardelin”  in onore della sua straordinaria capacità di imitare il verso degli uccelli in special modo quello del cardellino, richiamo che usava per avvisare i compagni in vista di pericoli imminenti.
Maledetto regine, non era più vita quella, maledetta guerra, quanto l’odiava e odiava anche quello che era costretto a fare, quella sera sentiva tutto il peso gravargli sulle spalle.
Intanto il pensiero correva giù per gli irti sentieri di montagna fino a quella casetta bianca dove abitava il suo amore, la sua adorata Tina. Appena poteva le scriveva sempre e le lettere gliele mandava tramite la Pina, la loro postina e messaggera, non aveva mai ricevuto nessuna risposta, perché?
Quello che lo teneva ancora in vita era il ricordo della loro ultima sera insieme, la più bella di tutta la sua misera esistenza.

Guardarsi Negli Occhi E Fare L'Amore

Guardarsi negli occhi e fare l'amore,
avvinghiati non solo nei corpi anelanti
a quell'uno da lungi rescisso e smarrito,
ma coi cuori in profondo ancorati da fili

che di tempo e di spazio ignoran gli affanni.
E le sfere fondendosi in una brillante,
di gioia ricolmano questo universo
dovunque ed in tutti gl'innumeri istanti.

In quei rari momenti che il Dio ci concede
con l'amore perfetto di scalare il suo cielo
in te io scompaio e tu stessa ugualmente:
quell'eterno sublime disegno intrecciato

indiviso per sempre continua il suo corso
ritracciando il sentiero che unisce i destini
delle anime incerte, ma riprese e salvate
dopo ogni tempesta dopo ogni naufragio.

      loripanni

La potenza di un sorriso

Le sue mani giacevano come morte sulle cosce scarne. I palmi si aprivano debolmente in una conca le cui dita formavano una foresta di rovi aguzzi. La pelle aveva ormai perso il suo roseo colorito e pareva un velo di seta poggiato su candide ossa sulle quali s'intrecciavano strade di vene e tendini.
Il volto mirava un punto che non guardava più da tempo. L'espressione attonita, malinconica, quasi assente, solcava le pieghe di quel fragile viso di ventenne che sembrava ormai appartenere ad un essere prossimo al passo estremo.
Negli occhi vi era il vuoto di un'esistenza mai compresa fondo, mai vissuta nelle sue trame più giocose e fertili, ma sempre osservata attraverso il filtro di uno spesso vetro isolante, insonorizzato. A soli ventanni, ella aveva già perso il gusto di una sonante risata.
Ma un giorno un raggio di sole colpì ostinatamente il suo volto.
Gli occhi, infastiditi ed irritati da quella penetrante insolenza, si socchiusero appena, corrugando le sopracciglia. Finalmente il grigiore di quel viso si vestì di colore, il colore di quegli occhi che sfavillavano dalle feritoie delle palpebre.
Il calore di quel raggio le pervase il viso e poi tutto il suo essere, sentì forte l'esigenza di muovere quelle dita intorpidite, di cui quasi non percepiva più la presenza. Il sangue cominciò a rifluire entro i canali inariditi del suo corpo, infondendole una nuova energia.
Prontamente si alzò e si recò alla finestra, i passi malfermi la condussero verso quel vetro che fu la sua prigione e, per la prima volta, sentì il desiderio di abbattere quell'ostacolo che l'aveva divisa dal mondo.
Con uno scatto ne aprì le ante ed una dolce brezza primaverile le accarezzò le gote. Adesso poteva sentire.
Sentiva il canto degli uccelli, le voci dei bambini, il soffio del vento tra le fronde degli alberi, sentiva il calore del sole ed i profumi del mondo.
Finalmente, a ventanni, ella scopriva la vita.
Adesso lei è nonna, le sue gote sono del colore delle pesche e la pelle è fresca d'estate, i suoi occhi, azzurri come il cielo, splendono sempre per i suoi piccoli gioielli, i suoi numerosi nipoti che le colmano il cuore e l'anima d'inifnito amore. Mai alcun pianto deturpò più il suo viso da quel fatidico giorno, poiché ella visse soltanto della potenza di un sorriso.
 
Alexis
12.04.2010

Rondini

sono arrivate all'improvviso
sebbene attese impazientemente
con quel profumo d'Africa
che noi abbiamo in mente.
come dardi sfrecciano
sfiorano l'erbe fresche
dei campi mézzi d'acquerugiola
che la stagione abbondante dona.
e su nel cielo ripulito ora
nell'odore di lavato appena
timpano dei garruli richiami
eccitate per il volo la caccia
o semplice gioia di vivere
si librano in veloci aeree esibizioni.
 
 

Cercavo le parole

Cercavo le parole da dirti
frugando tra pensieri confusi
rovistando tra desideri delusi
e nella scarpa stupita ho trovato
 un piccolo sasso, chissà lì da quanto
a rovinare il mio passo convinto
su questa strada beffarda e stonata.
 

Io c'ero

Sai chi c’era quel giorno? Ebbene, te lo voglio proprio dire. C’ero io. Si, proprio io, quel giorno che il sole picchiava duro e il vento... benedetto signore, che vento quel giorno! Sensazioni di giorni che faranno epoca… Il vento di Genova poi... è un vento che noi conosciamo, eppure ci prende ogni giorno alla sprovvista. Che piova o non piova, da sempre noi, siamo abituati a quel vento. E ogni giorno dal vento ci lasciamo sorprendere... noi genovesi. Ah, e quel giorno eravamo molti e non soltanto genovesi, anzi viene da dire: tanti... troppi. Il corteo si staccava per chilometri e chilometri. Pensa, si parla di qualcosa di chilometri e chilometri. Ottocentomila persone ammucchiate a camminare. Ottocentomila facce sudate. C’era aria di festa lì in mezzo ai nostri passi. Trovavamo che fosse un modo di rispondere. E dunque si rispondeva e si urlava in tutte le lingue, urlavamo per le cose essenziali, vitali per il mondo (e non dimenticarti mai amico mio, che il mondo siamo noi), ed infatti eravamo noi e io c’ero caro amico mio. Peccato che non c’eri anche tu. Saremmo stati insieme senza saperlo e adesso lo saremmo sapendolo.
Il corteo si muoveva lento e molto spesso non si muoveva neanche. I bambini sulle spalle dei papà, le mamme attente a cosa pioveva dal cielo. Da tutta Europa e dal mondo (ma ti rendi conto?) un appuntamento naturale, come innaturale invece sarebbe stato l’andamento delle cose. E adesso che ci penso, forse quel vento eravamo proprio noi sotto quel sole che ci teneva caldo. E sotto quel sole ci sentivamo al sicuro.
Ricordo la città. Era divisa in tre. Da Levante si poteva arrivare, ma non da Ponente, (per via dell’aeroporto e da Bolzaneto per via della caserma della polizia), ma come un muro, si poteva scavalcare dai monti.
Tu non conosci Genova, avremmo scavalcato insieme se ci fossimo conosciuti allora, ed il corteo era una grande festa di bandiere colorate. Eravamo convinti che non sarebbe successo nulla (e si sappia che l’ala dura è sempre stata lontana dal cuore di quel corteo).
Bene amico mio, al pomeriggio del giorno prima c’erano già stati i primi scontri, gestibili se vogliamo. Ma il sentore c’era. Si sapeva già come si muovevano, già si sapeva come si sarebbero mossi, ma forse qualcuno doveva, o forse qualcuno voleva, che le cose avessero un diverso andamento.

La dimensione del sogno

la dimensione del sogno è la quinta
:
né spazio né tempo
 
perché là dove si sale
e si è
là è dovunque e in nessun luogo
è sempre e mai
 
non c'è nessun quando
e nessun dove
 
noi siamo ovunque ci sia gioia
e amore
siamo dove si ride
e gli occhi s'intorbidano di passione
siamo dove c'e' corpo e cuore
 
e non siamo altrove

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