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Il segno di Memé - Etain

- Vi dimostrerò che l’Aldilà esiste -, l’accento cantilenante dell’entroterra catanese, accompagnato dal sorriso lento e dolce, circondò come un invisibile abbraccio le due donne che sedevano di fianco al letto di Carmela Sciuto.
- Oh, cara Memé, tu sei sempre stata la più ottimista tra le ragazze della nostra famiglia -, sospirò la più anziana usando il nomignolo affettuoso con cui avevano sempre chiamato la cugina malata. Nel suo paese natale, giù in Sicilia, era conosciuta come ‘a signurina Mela[1], ma a loro due quell’appellativo non era mai piaciuto.
- E tu sempre la più dubbiosa, mia dolce Maria -, si schiarì la voce per fermare il colpo di tosse che sfregava la gola. In cuor suo, ringraziò il cielo per averle concesso ancora un briciolo di forza e di lucidità per parlare con le due cugine. Oramai da tre mesi si stavano occupando di lei. Rimpiangeva i luoghi che aveva dovuto salutare per curarsi, ma amava troppo la vita per rinunciarvi. Era ancora così giovane, poi. Solo 46 anni e questo “male” che la consumava poco a poco. Al paese, da anni se la cavava da sola: non si era mai voluta sposare dopo la morte in guerra del fidanzato Giovanni. Dalla fine della guerra erano passati ben 29 anni, un alternarsi di gioie e di dolori, come è inevitabile per tutti. Poi la malattia l’aveva presa e, dopo sei mesi il medico le aveva detto: “Signorina Carmela, io qui non posso più farvi niente, vi mando da un bravissimo collega del San Camillo di Roma”. E così, aveva chiuso la casa di Milo, sutt’ all’Etna[2], e aveva preso il treno. Poi a Roma c’erano cugina Maria e cugina Nunzia, che erano tanto care. Lei viveva con Maria, la maggiore tra le due, il marito Vittorio e loro figlio Giulio, un caruseddu[3] di 16 anni. Nunzia e il marito Antonio avevano un bilocale poco lontano.
- Che ti devo dire, Memé…noi siamo cresciute qui a Roma, ci manca il profondo senso religioso del paese. E dire che qui abbiamo il Papa… -, intervenne Nunzia, sollevando gli occhi dal telaio.
- Appunto, dico io. Non vi capisco proprio -, sospirò Memé, - Secondo voi, allora cosa ci stiamo a fare su questa Terra? Io dico che ‘u Signori[4] esiste, lui ci ha creato e da lui riturnamu[5].
- Sì, certo, questo lo dicono i preti! Ma nessuno si è mai preoccupato di fornirci una prova -, Maria fece un mezzo sorriso. - Eccola qui, l’incredula! Chi sei? San Tommaso? -, la guance pallide assunsero un lieve rossore, - Dovevano chiamarti Tommasina -, stavolta la tosse sfogò in un accesso. - Memé, non ti sforzare a parlare troppo -, Maria le porse un bicchier d’acqua. L’inferma attese che il respiro tornasse regolare, poi dichiarò con convinzione: - Ve l’ho detto prima e ve lo ripeto adesso: visto che tra le tre può essere che sia la prima a vedere la morte, farò in modo di darvi una prova!
- Ma cosa dici, Memé?! -, la interruppero le altre, - Finisce che ci sotterri prima tu!
- Non sono stupida, so che non camperò ancora per molto… -, deglutì lentamente, - Per me questo è come un giuramento, perché sono sicura che esiste un’anima che vive dopo la morte, e con questa anima io vi lascerò un segno. Le due sorelle tacquero, non per paura, ma per rispetto. Il silenzio diede solennità alla parole di Memé. ****
- Vittorio, caro, hai per caso visto i miei guanti di pelle? -, da un paio di minuti Maria stava ispezionando con ansia la stanza da letto. - Hai provato a vedere sul mobile dell’ingresso? Ti ricordo che li posi lì ogni volta che rientri -, il marito aveva parlato con tono distratto dal divano del soggiorno. Era intento a sfogliare un Topolino, un’abitudine cui era affezionato dal ’49, quando ancora il giornalino costava 60 lire. Ora stringeva tra le mani il numero 999, il ‘75 sarebbe iniziato regalando a lettori e collezionisti l’atteso numero 1000[6]. Già, il 1975. Mancano un paio di giorni al nuovo anno, speriamo vada meglio del vecchio, si disse l’uomo sospirando.
- Ma insomma, Vittorio! -, il tono e le braccia ad angolo appoggiate ai fianchi non promettevano nulla di buono, - Ti sei dimenticato che l’ospedale ha orari fissi per le visite? Voglio vedere Memé, oggi. Poverina, ormai le è rimasto così poco da vivere… L’incrinarsi della voce della moglie spinse Vittorio ad alzarsi.
- Va bene, mi cambio la camicia e sono pronto -, le si avvicinò, - Faremo in tempo, vedrai.
- È che ieri sera sembrava così grave… non riusciva più a parlare, avresti dovuta veder… La donna sobbalzò. Uno schianto.
- Maria, hai di nuovo lasciato aperta la finestra della cucina! -, Vittorio era irritato, - Di certo si sono rotti i vetri.
- Ma no, caro, io ho chiuso di sicuro! Ma il marito era già corso verso la cucina. Maria rabbrividì per il freddo. Dovevano esserci meno di 10 gradi fuori e il cielo di dicembre era impenetrabile. In quei giorni, il mondo sembrava velato da una cappa di cenere. - Cara, vieni qua, corri! -, la voce era concitata. La donna si mosse mesta, l’ultima cosa che le andava di fare in quel momento era mettersi a raccogliere cocchi. Ma il marito non era in cucina. - Vittorio, che ci fai lì immobile davanti alla camera degli ospiti? E perché l’hai aperta? Non vorrai farmi credere che è stata la corrente dalla cucina… L’ho chiusa a chiave e bloccata con il ferro da quando Memé è tornata al San Camillo. - Veramente io… Driiinnn driiinnn driiinnn - Il telefono… se è Nunzia dille che arriviamo! -, era chiaro che toccava a Vittorio rispondere. Maria si sentiva frastornata. Fissava la porta con le doppie ante spalancate quasi senza vederla, mentre avanzava di qualche passo nella stanza. Si accorse che la finestrella della camera era aperta. Strano, ricordavo di averla chiusa. Ma dove ho la testa in questo periodo. Potrebbe essere stato questo ad aprire la porta? Attraversò la stanza con l’intento di chiudere la finestra, ma dovette fermarsi. Gelo. Una sensazione di freddo che non aveva mai provato e un lungo brivido. Le attraversò la schiena, fermandosi alla nuca. Si sentì accapponare la pelle e allo stesso tempo provò un’insolita emozione. Le salirono le lacrime agli occhi, ma inspiegabilmente si sentiva rasserenata. Fu così che la trovò Vittorio. - Maria… - Che c’è? -, la voce le tremava e non sapeva più perché. - Dobbiamo andare all’ospedale -, trattenne il fiato per un attimo, - Memé è… L’uomo le si fece vicino. - Fa freddo qui -, le circondò le spalle come le braccia, - Vieni di là. Maria non si mosse. Voleva fermare il più possibile dentro di sé il ricordo di quel lungo brivido che l’aveva percossa, come un tocco leggero. - Era Nunzia? - Sì. - È morta vero? - Sì. Un sorriso lieve tra le lacrime. - Era questo allora… Era Memé. Era il suo segno. La finestra sbatté forte e l’anta di richiuse come se la mano del vento l’avesse guidata dall’esterno.


[1] La signorina Mela: “Mela” è il diminutivo di Carmela più diffuso nel meridione.
[2] Ai piedi dell’Etna.
[3] Ragazzetto, qui inteso in senso affettuoso.
[4] Il Signore.
[5] Ritorniamo.
[6] Lo storico n.1000 di Topolino è stato distribuito per l’esattezza il 26 Gennaio 1975; era il millesimo numero a partire dal primo libretto mensile edito il 1 Aprile del 1949, ma il vero esordio delle tavole disneyane nelle edicole italiane risale al Natale del 1932 e aveva frequenza settimanale.

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-Supervisione Paolo Rafficoni
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