La sirena - Sergio Maffucci | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

Login/Registrati

Sfoglia le Pagine

Sostieni il sito

iscrizioni
 
 

La sirena - Sergio Maffucci

Il viaggio in aliscafo da Napoli non è stato lungo. Arriviamo in vista dell’arcipelago delle Eolie in circa quattro ore. Non avevamo considerato, però, che Vulcano, essendo l’ultima tappa, avrebbe richiesto altre due ore, a causa dei tempi d’attracco e d’ormeggio alle isole di Stromboli, Panarea, Salina e Lipari.

Arriviamo che è quasi il tramonto, accolti da un’aria particolarmente calda e da una natura che fiammeggia agli ultimi raggi del sole. Non può che essere così, visto che stiamo con i piedi sopra un vulcano!

Vicino al porticciolo c’è uno specchio d’acqua che ribolle per le fumarole che dal vulcano scendono fin sotto la superficie del mare. Pochi metri dietro, sulla terra, c’è una grossa pozza d’acqua fangosa, calda anch’essa, dove numerose persone, nonostante l’ora vespertina, vi si crogiolano ancora dentro, ricoprendosi tutto il corpo di fango, come i dannati del girone dantesco dei golosi, senza i diavoli, però.

Giungiamo in albergo e dopo le formalità di rito, raggiungiamo la nostra stanza, confortevole e fresca grazie all’aria condizionata. Il tempo di cambiarci e, data l’ora, andiamo al ristorante che, con nostra gradita sorpresa, affaccia sulla spiaggia: di fronte al mare e, sulla destra, alla vicina isola di Lipari.
Facciamo subito onore alla buona cucina siciliana, che il ristorante dell’albergo ci propone in gran varietà per una formula di pensione e di qualità eccellente.
Dopo cena andiamo a fare due passi nell’abitato di Vulcano.
Percorriamo piccole vie, delimitate da basse e linde case bianche, attraversiamo una piazzetta circolare che è il cuore di Vulcano e imbocchiamo la via dello “struscio”, dove ci sono bar, ristoranti e negozi d’abbigliamento, d’artigianato e d’accessori per il mare, fino ad arrivare ad un altro lato del porticciolo.
Vulcano paese è già finito. Nel giro di mezz’ora, l’hai, in sostanza, visitato tutto!

Prendiamo un caffè e ripercorriamo a ritroso il cammino per tornare in albergo.
Prima di andare in camera, ci rechiamo sulla spiaggia dell’albergo, a calpestare a piedi nudi l’ancor tiepida sabbia scura e ad ammirare il cielo stellato, che ci offre, complice la totale oscurità, un brulichio immenso di stelle, uno spettacolo ormai negato a noi distratti ed indaffarati abitanti delle città.
Rivolgiamo uno sguardo alle luci di Lipari ed al contorno dell’isola che si staglia appena, dal blu scuro del cielo.
Facciamo degli ampi respiri dell’aria balsamica proveniente dal mare, che, in questa calda sera estiva, è tanto calmo, da non avvertire nemmeno lo sciabordio delle onde e, poi… a letto.

Da domani avremmo gustato in pieno questa vacanza, il cui anticipo promette molto bene.
Il sonno, lontano dagli affanni consueti e dalle ambasce della quotidianità fredda e metodica del lavoro, ci accoglie subito fra le sue braccia.
La prima settimana trascorre nella più assoluta tranquillità, alternando la spiaggia alla piscina dell’albergo e iniziando la visita delle altre isole, utilizzando i vaporetti, che sono i mezzi di comunicazione usati dagli eoliani per spostarsi da un’isola all’altra. Una volta giunti su un’isola, tranne Stromboli, Alicudi e Filicudi che non hanno vie percorribili, se non dai muli, affittiamo una Vespa 50 e con essa la percorriamo tutta, fin dov’è possibile. Ci fermiamo a fare il bagno dove ci pare e, per questo, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Sono tutte isole incantevoli, con una storia affascinante e millenaria, che hanno visto solcare i loro mari, da legni di tutte le civiltà antiche del mediterraneo e che se potessero parlare, quante storie avvincenti e straordinarie si conoscerebbero.
Un giorno della seconda settimana, siamo andati a Salina, abbiamo affittato la solita vespetta e mentre giriamo per l’isola, adocchiamo una spiaggia solitaria, con molti sassi e scogli e con la vegetazione quasi a ridosso del bagnasciuga. Ci fermiamo. Scendiamo pochi metri. Cerchiamo un posto dove stendere gli asciugamani e ci sediamo di fronte al mare, lasciandoci candidamente carezzaredalla calda brezza marina che ci trasporta l’odore del mare, versandocelo sul viso.

Non siamo soli, però, non ci eravamo accorti che poco più in là, quasi nascosto da un grosso scoglio, c’è un uomo, piuttosto anziano a prima vista, che armato di una canna da pesca, è nell’attesa, come tutti i pescatori, che un pesce abbocchi.
Per curiosità e per muovermi un po’, mi avvicino a lui, ma senza l’intenzione di disturbarlo e tanto meno di fermarmi a parlare.
Quando gli sono dietro, lui si volta e mi fissa.
Io lo saluto con il “Buongiorno!” più cordiale del mio repertorio e faccio l’atto di proseguire.
“Dove vai?” Per cortesia gli rispondo.
“Passeggio sulla spiaggia, voglio arrivare fin dove finisce”.
“No! Non si può!”
Ovviamente questa persona parla in dialetto ed io riferisco solo quello che comprendo.
“Non si può? Perché?” Rispondo con evidente ironia, pensando che l’uomo - la cui stima dell’età, ora che gli sono di fronte, è di almeno ottanta anni circa - non sia pienamente in possesso di tutte le sue facoltà mentali. Da una borsa, che avrà più o meno la sua stessa età, vedo sporgere il collo di una bottiglia, sicuramente di vino.
“Ecco”. Mi dico
“Non solo l’età, ma è pure già alticcio”. Lo risaluto e continuo la mia passeggiata.
“Non si può andare di là… è pericoloso…ci sono le Sirene”.
“Le Sirene?” Ripeto ad alta voce.
“Sì, sì, le Sirene…quelle cantano, suonano, t’imbambolano e poi t’ammazzano nel mare…ti fanno affogare”.
“E' strano e, forse, pure un po’ ubriaco, ma…non sembra pericoloso; quasi, quasi, lo faccio parlare e chissà che non ne esca fuori una bella storia, una di quelle antiche, che si tramanda fin dall’epoca dei Greci. In Sicilia tutto è possibile!”
“Allora, ci sono le sirene? E…come sono? Tu le hai mai viste?”.
“Certo che ci sono e l’ho pure viste, mica sono scemo!”
“No, non volevo dire questo. Ma... come sono? Perché non mi racconti quello che hai visto? Dev’essere stata un’esperienza bella, o no? Se tu l’hai viste e sei qui, non ti hanno ammazzato”.
“C’è mancato poco, però!”
“Davvero? E allora raccontami, dai…”
Il vecchio, lusingato da questo mio interesse, che forse nessuno più gli mostrava da anni, considerandolo fuori di testa, inizia il suo racconto, che cerco di riassumere così come l’ho capito. Vi assicuro che non è stato facile, per via del dialetto e la poca lucidità dell’uomo, che si chiama Giuseppe.
Quando egli aveva circa vent’anni, nelle rare pause che gli concedeva il suo lavoro di pescatore sulla barca del padre, vuoi per il tempo inclemente, vuoi per santificare alcune domeniche o qualche festa patronale, aveva già l’abitudine di rifugiarsi in riva al mare, in posti da lui scoperti nelle sue scorribande infantili insieme a pochi coetanei isolani.
Egli si recava da solo in queste piccole cale e si sedeva sulla riva a guardar il mare, a respirarlo, tessendo un muto colloquio con esso.
E’ riuscito a farmi capire che, a Salina, per questa sua abitudine era preso in giro, persino dai suoi vecchi amici, che ora non lo seguivano più.
Lui se ne infischiava e continuava nelle sue visite solitarie al suo amico mare. Mentre lo guardava con una fissità estatica, gli ritornavano in mente tutte le storie di mare che gli avevano raccontato da piccolo. Storie mitiche e fantastiche, che avevano le radici profonde delle culture millenarie, che avevano lasciato la loro impronta nella terra di Sicilia.
In particolare era rimasto affascinato dai racconti sulle Sirene, quei mitologici soggetti, quasi sempre dalle fattezze femminili, che a posto delle gambe avevano una propaggine a forma di pesce, con tanto di pinne caudali. Le storie antiche non erano molto tenere con questi esseri ibridi, ai quali erano imputati molti misfatti, primo fra i quali (come pure celebrato da Omero nell’Odissea), quello di circuire e sedurre i marinai in genere, con i loro canti, con le loro movenze lascive, con i loro ammiccamenti tentatori e con i loro richiami a cui nessuno sembrava potesse resistere, salvo tapparsi le orecchie o farsi legare, come chiese ed ottenne Ulisse dai suoi amici, per scoprirne i magici arcani poteri.

Questi racconti ed il potere persuasivo ed ipnotizzante di queste leggendarie creature erano diventati, per Giuseppe, un’ossessione.
Nella sua mente debole, si era radicata la convinzione che le Sirene esistessero ancora e che, prima o poi, le avrebbe viste e ci avrebbe parlato.
Era convinto che quando le avesse incontrate, lui sarebbe stato immune dall’incantesimo e che non avrebbe corso il pericolo di perdersi nel mare per raggiungerle o di fare naufragio, quando era in barca a pescare da solo.

Il tempo, in quella splendida isola, non gli mancava di certo e la sua grande contiguità con il mare, alla fine, gli avrebbe offerto l’occasione, tante volte desiderata e sognata, nella quale dimostrare che le Sirene non erano cattive, ma solo diverse e che avrebbe potuto, addirittura, allacciare un rapporto d’amicizia con loro. In fondo erano pur sempre delle femmine, o quasi e lui era un bel ragazzo.
Quel giorno arrivò, quando nemmeno lui ci sperava più.
Stava in una piccola cala simile a quella dove ci troviamo ora, ma molto più distante e molto difficile da raggiungere perché bisogna percorrere un impervio e pericoloso sentiero.
Questa cala però, a dir suo, era ed è la più bella dell’isola e forse dell’intero arcipelago.
C’è da credergli, perché, con la sua attività di pescatore, le Eolie non avevano alcun segreto per lui.

Era un giorno d’estate inoltrata, forse di fine agosto o dei primi di settembre. Il mare, a causa del libeccio, non consentiva alle piccole barche, come la sua, di prendere il largo. Ecco un’altra di quelle occasioni per affacciarsi sul “suo” mare. Raggiunge quella splendida caletta che, tra l’altro, affaccia verso est e non risente del respiro potente del Libeccio, consentendo al mare che la bagna di mostrarsi più calmo sottocosta.

Si siede tranquillamente sul “suo” scoglio e rimane per un po’ in contemplazione, poi decide, sia per il caldo ancora sensibile, sia per vincere la noia che queste solitudini forzosecomunque comportavano, di spogliarsi e di nuotare in quelle profonde acque blu.

Si tuffò in mare nudo e cominciò a nuotare, gustando il piacere di sentirsi scivolare sul corpo la tiepida acqua del mare. Nuotò fino a giungere alla punta sinistra della spiaggia, oltre la quale non si vedeva più la costa. Appena vi giunse, piegò verso la riva e si fermò su uno scoglio a pelo d’acqua, la cui sommità era appena bagnata dal flusso eterno delle onde. Si accomodò e si mise a fissare la superficie del mare, in ogni direzione, com’era solito fare, ormai d’abitudine, per vedere se le Sirene si manifestavano.
Era piacevolmente cullato dallo sciabordio delle onde sul suo giovane corpo e Sirene o no, si sentiva felicemente appagato da quell’intimo contatto con il “suo” mare. Era come se stesse copulando con le sue acque e non era infrequente che queste piacevoli sensazioni, gli facessero liberare il suo seme nel mare, quasi a voler stabilire un intimo rapporto con esso, fino a “possederlo”.

Quel giorno, fu uno di quelli in cui egli amò il mare anche fisicamente. Quando, dopo l’orgasmo, riaprì gli occhi, si accorse di strani movimenti sulla superficie del mare, a poche diecine di metri da lui. Da esperto pescatore, pensò ad un piccolo branco di ricciole, che sono solite venire a pasturare sotto riva, negli anfratti delle scogliere. L’affiorare di due grandi e sconosciute pinne caudali, che imprimevano la spinta ai pesci, gli fece scartare l’ipotesi delle ricciole e gli procurò una gran curiosità di scoprire quali pesci fossero con una coda simile, mai vista. Fu tentato di avvicinarsi a nuoto, ma sia per il timore di spaventarli e farli scappare, sia perché potevano essere pericolosi, data la loro dimensione, stimata intorno al metro e mezzo, vi rinunciò. Lui, tra l’altro, non aveva alcun mezzo di difesa, nemmeno un coltello.
Nel frattempo, i grandi pesci, continuavano ad avvicinarsi agli scogli situati quasi di fronte a lui, a non più di dieci metri, quando, d’improvviso, con un guizzo degno di un delfino i due “pesci” uscirono dall’acqua e si posarono su degli scogli simili al suo con la coda dentro l’acqua e con il resto del corpo posato su di essi.
Giuseppe non fece in tempo a realizzare ed a capire cosa stesse vedendo, come se dopo tanti anni d’attesa, ora che dinnanzi a sé c’erano due Sirene, si rifiutasse di accettare una realtà impossibile, per la quale aveva perso le speranze che si avverasse.
Era talmente confuso, emozionato e stordito, che pensava di assistere ad un’allucinazione indottagli dall’orgasmo.
Mentre era preda di questo stato confusionale, le due Sirene, lo guardavano e sorridevano, scambiandosi sguardi divertiti e ammiccanti, per la reazione di Giuseppe al loro apparire.

Questa situazione irreale, che si era creata, fu interrotta da una di esse, dal bel viso ovale di un candore indefinito, come il resto del corpo…fino alla pinna, incorniciato da lunghi capelli, castano chiaro, intrisi d’acqua e con due grandi ed invitanti occhi azzurro mare, che gli parlò, chiamandolo per nome:
“Giuseppe, siamo qui! Dopo tanti anni in cui hai sperato e creduto d’incontrarci, ora non sei nemmeno capace di credere a ciò che vedi? Io mi chiamo Alga e lei è Corallo. E’ tanto tempo che ti seguiamo e che ti osserviamo, senza che tu ci potessi vedere. Oggi ci siamo manifestate a te, perché abbiamo ritenuto che ormai sia giunta l’ora di premiare la tua costanza, la tua fede in noi ed il tuo amore che manifesti verso il mare, come hai fatto poco fa”.

Giuseppe a quell’affermazione divenne rosso per la vergogna e si ricordò d’essere nudo e cercò di coprirsi come meglio poté con le mani.
Le Sirene sorrisero del suo imbarazzo.
“Giuseppe, non devi vergognarti, siamo nude anche noi!”
Altri sorrisetti risuonarono nella placida caletta, che, ormai, sembrava appartenere ad un altro mondo e ad un’altra realtà.
Giuseppe, ripresosi un poco, rispose:
“Sì ma voi siete nude solo a metà, non per intero come me!”
“Noi siamo sirene, metà donne, metà pesce e questa è la nostra nudità, intera come la tua, di cui non ci vergogniamo come non ti devi vergognare tu”.
Alga riprese il discorso, prima interrotto:
“Ti stavo dicendo che vogliamo premiare questo tuo atteggiamento nei nostri confronti e la tua profonda convinzione che noi non siamo così cattive come le leggende ci definiscono, dichiarandoti il nostro amore per te e abbiamo deciso, se sei d’accordo, di portarti a vivere con noi. Anche se siamo degli esseri ibridi, siamo pur sempre delle femmine che hanno bisogno dei maschi per continuare la specie. Tutte le leggende sul nostro conto, nascono proprio da questa nostra esigenza e gli uomini da noi incontrati sul mare, abbiamo sempre cercato di ammaliarli con i nostri poteri, solo per questo motivo. Una volta convinti a fare questa scelta, essi non possono più tornare sulla terra ferma. Da qui, originano tutte le storie sulle morti provocate dalle nostre arti magiche per confondere e far perire i marinai”.
Seguì una pausa densa d’emozione.
Alga proseguì:
“Se accetterai, vivrai con noi nelle profondità del mare, al quale noi adatteremo il tuo corpo, che avrà anch’esso una coda ed una pinna come le nostre. Potrai essere libero di percorrere in lungo e largo il mare, potrai anche toccare terra, se lo vorrai, ma sempre senza farti vedere dai suoi abitanti”.
“Se decidi di fare questo grande passo, non devi fare altro che venire qua da noi, prendere la mia mano e non lasciarla per nessun motivo, finché non te lo dirò io. Non dovrai aver paura d’affogare, anche se all’inizio avrai questa sensazione, nulla ti succederà finché sarai unito a me. Se lasci la mia mano, rischierai di morire. Abbi fiducia, come ne hai avuta in tutti questi anni e per te si aprirà un futuro, senza fatiche, senza preoccupazioni, senza dolori e diventerai immortale”.
Giuseppe, non era sicuro di aver capito bene tutto e timidamente chiese:
“Posso pensarci un po’, poi ci rincontriamo e ve lo faccio sapere?”
Alga, mostrando un’espressione del volto più decisa, rispose:
“No Giuseppe! Queste sono occasioni che si presentano una volta sola e…non a tutti. Devi decidere subito. Ora o mai più!”
Giuseppe era combattutissimo ed in preda ad uno sconvolgimento come mai nella sua vita.
Le due Sirene erano bellissime e convincenti.
La prospettiva di non lavorare più, di fare quello che gli pare e di vivere in eterno, contornato dalle Sirene e chissà da cos’altro, lo seduceva molto e finì con l’accettare.
“Sì, sì, sono d’accordo, vengo con voi, è una vita che vi aspetto e non voglio perdervi”.
Alga, con voce melliflua e suadente:
“Hai fatto la scelta giusta Giuseppe, raggiungici e dammi la mano che inizia la tua nuova ed eterna vita!”
“Eccomi, eccomi, come sono felice!”
Con poche bracciate, raggiunse Alga e le prese la mano tesa verso di lui. Appena la strinse si sentì pervadere da un’energia che si propagò per tutto il corpo, infondendogli un profondo senso di benessere.
“Ecco, già mi sento meglio, che piacevoli sensazioni”.
Corallo, intanto, si era già immersa e li precedeva di alcuni metri. Alga fece altrettanto, trascinando Giuseppe.
L’immersione fu graduale e lenta. Nuotavano mano nella mano, ma era Alga che lo trascinava, essendo la sua azione più potente di quella di Giuseppe.
Quando giunsero a circa cinque metri di profondità, Giuseppe avvertì i primi sintomi di carenza d’ossigeno e con l’altra mano toccò Alga, come per farle capire che forse era il momento d’iniziare quella trasformazione del suo corpo che gli avrebbe permesso di vivere sott’acqua.
Come Alga sentì il suo contatto, girò la testa verso Giuseppe e…il suo volto si stava trasformando in maniera mostruosa, gli sorrise, mostrandogli una dentatura simile a quella di un pescecane.

Giuseppe con tutto il vigore della sua età e grazie al fisico allenato all’acqua e alle apnee, diede uno strattone tale alla mano di Alga, da riuscire a divincolarsi, nonostante la stretta fosse possente.
Riguadagnò la superficie, trasse un gran respiro ed iniziò a nuotare con quanta forza aveva in corpo per raggiungere la riva, che, fortunatamente, era ancora vicina.
Il rumore delle sue vigorose bracciate, si confondeva con quello della pinna di Alga, che lo stava inseguendo per riprenderlo.
Il cuore di Giuseppe era allo spasimo, il rumore di Alga era sempre più vicino. Mancavano poche bracciate che coprì con la forza della disperazione, fino a saltare fuori dell’acqua con un balzo, appena si rese conto di toccare. In quell’attimo avvertì un dolore lancinante al piede destro, ma continuò, incurante, a correre sui sassi fino a giungere alla macchia che delimitava la cala.

Solo a quel punto stramazzò per terra ansimante ed in preda al terrore, si volse verso il mare, giusto in tempo per vedere che l’essere manifestatosi come Alga, era divenuto un mosto marino, che si dibatteva nell’acqua, animato da una furia indescrivibile, facendola schiumare tutt’intorno.
“Mio Dio, Mio Dio, che cosa orribile. Era tutto vero, allora, quello che si raccontava sulle Sirene…”.
A quel punto, si rese conto che il dolore che aveva provato all’uscita dal mare era dovuto ad un morso della “creatura”, che lo aveva ormai raggiunto e che gli aveva tranciato di netto l’alluce del piede destro e parte di altre due dita.
Giuseppe iniziò a piangere ad urlare e ad imprecare, forse più per la delusione del suo sogno adolescenziale, che per il dolore della ferita.

Voglio essere sincero, quando Giuseppe termina il suo racconto, io resto molto affascinato dalla fantasia e dai particolari di esso, ritenendolo solo frutto della sua immaginazione. Sono anche stupito, dialetto a parte, dal modo come me lo ha raccontato, ma, ovviamente, non gli ho dato alcun credito. A furia di sentir parlare di Sirene e di tutte le storie che narrano di loro, sono convinto che Giuseppe abbia, nella sua mente, inconsciamente, elaborato una storia che è la sintesi di tante storie e dicerie, fino a credere effettivamente d’averla vissuta.
Mente debole o no, però, devo riconoscergli di aver costruito una bella e fantasiosa storia.
Lo saluto calorosamente e lo ringrazio per avermi raccontato “quello che gli era accaduto da giovane”.
“Grazie, grazie. Ora, però, vado via anch’io. Si è fatto tardi, vado a mangiare da una cara ragazza che si occupa di me, che sono vecchio e solo”.
“Ah, bene! Buon pranzo e…arrivederci”.
“Sì, sì…arrivederci…”. Mi risponde con un tono di voce, come se dicesse…tanto non ci rivedremo più!
Ritira la canna da pesca, si alza dallo scoglio sul quale è seduto con le gambe dentro l’acqua ed i pantaloni arrotolati fino al ginocchio e si dirige verso le sue cose che aveva appoggiato sulla spiaggia, qualche passo indietro.
Si siede su un altro scoglio, prende un piccolo asciugamano per asciugarsi le gambe ed i piedi, poi prende le scarpe per infilarsele.
E’ solo in quel momento, in cui infila i piedi nelle scarpe, che mi accorgo che il piede destro è privo dell’alluce e delle due dita vicine.
Dopo aver calzato le scarpe mi fa un cenno di saluto con la mano ed un sorriso compiaciuto, quasi volesse farmi comprendere che io avevo visto la “prova” di quanto raccontato.

Ho avuto solo la forza di alzare appena il braccio…

Sergio Maffucci [Sermaf]


-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
-Supervisione: Paolo Rafficoni
-Editing: Alexis, Livia Aversa
-Racconto di Sergio Maffucci [Sermaf]
-tutti i diritti riservati agli autori, vietato l'utilizzo e la riproduzione di testi e foto se non autorizzati per iscritto

Cerca nel sito

Cerca per...

Sono con noi

Ci sono attualmente 0 utenti e 7257 visitatori collegati.