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Chiocciasse un mormorio di pace

Che avessero abbracciato il cielo con un tocco di rugiade
è scritto
sotto i mari impresso
 
che viaggiasse luna
maree
 
inoltrandosi la notte
 
Nei boschi di ciliegi
chiocciasse
un mormorio di pace
 
E gli occhi della Terra fruscianti, all’apparir del giorno
aprissero le braccia narrano
questi naviganti  

P.s. ma si può ancora scrivere così? 

come quando il grano

Se fossi capace
d’asciugare le parole
come il focolare fa
con la fronte stanca
il sole il vento col bucato
poserei muta e cieca
le dita su questi tasti
tesa nell’ascolto
del fruscio di spighe
quando il grano
si fa onda

Cose Così [di mussola]

S
    connessa
vago con la consistenza di un ectoplasma dilatato da una lente verde.
Il peso soffocante dell'amarezza
fa che

Cardiotonico

... accidenti c'è un problema…ho divelto la barriera
grosso danno procurato e un complotto sconfessato
ma tu guarda che disdetta ! tutta colpa della fretta…
s'è scoperta l'ambizione nient'affatto in previsione
simulacro silenzioso di un momento vanitoso
che tenevo sigillato nell'archivio secretato
tra sciocchezze disparate e risorse congelate
poi lasciate lì a morire senza straccio di avvenire
sbrigativo deterrente di un pensiero persistente
con gli auspici rinnegati per gli scarsi risultati
triste azione risoluta di ferocia non voluta
proprio come una condanna che punisce il proprio dramma

per fortuna sono lesto e rimetto tutto a posto
faccio fede che l'inciso non si scopri ad ogni costo
in maniera conveniente, per non dire opportunista
quest'azione di ripiego ha valore di conquista
contro varie imposizioni troppo spesso assecondate
al miraggio che si svela fra le brame trasognate
quell'istinto che non nega un programma più sicuro
una spinta impressionante che rilancia il suo futuro
da portare in primo piano come impulso prevalente
in concordia col principio radicale e travolgente
che completa questa impresa dando forza alla mia mano
e il ricordo del tormento sembra sempre più lontano

ho rivisto il tuo sorriso..

è così, per puro caso che, camminando in una fresca mattina ho rivisto la persona che un tempo

mi faceva diventare matta, una piccola cotta in confronto a quella di adesso, ma comunque significativa soltanto perché riuscivo a vedere la mia anima riflessa nei suoi occhi color cioccolata...
ed è così che per un momento ho rivisto il suo sorriso..ampio e sincero.. simpatico e dolce.. ora il mio cuore batte per qualcun'altro,
ma lo stesso rimane il più bel sorriso del mondo....

L'uomo-stella

Pensiamo all'uomo di Vitruvio. E pensiamolo mortalmente crocifisso, inscritto in quel cerchio ed in quell'angusto quadrato, i simboli di cielo e terra, piegati a misura d'uomo.
Quanto dovrà stare scomodo quell'uomo cui grava sulla testa tutto il peso del lato del quadrato e che non può neanche rischiare di abbassare le braccia per evitare che il tetto del mondo crolli su di lui inesorabilmente. Sì, un po' come Atlante. E che dire di quell'ombelico (del mondo, come lo definirebbe qualcuno) che realmente si fa perno del cerchio, dell'orbita che gravita attorno alla sua figura?
No, non credo sia molto comodo trovarsi bloccati dentro una ruota, invenzione geniale, per carità, ma non per viverci dentro. [Poveri criceti, a cosa li condanniamo!]
Ecco, con questa breve visione d'insieme abbiamo dimostrato quanto la perfezione vitruviana, successivamente rinascimentale, abbia rovinosamente posto l'uomo al centro del mondo. Egli è creatura perfetta e proporzionata in tutte le sue parti, ma quale sovrumano peso deve sopportare questo uomo perfetto per potere confermare ad ogni passo la propria (indiscutibile...?) perfezione? Di quante responsabilità si sono fatte carico quelle spalle dai muscoli doloranti, tremanti, tese come corde di violino e quella testa orribilmente schiacchiata dall'onere della coscienza? L'uomo virtuviano non è contento e lo si vede dalla sua espressione accigliata, dalle sopracciglia aggrottate. No, direi che non lo è per niente. E lo credo bene.
Ma se pensassimo quell'uomo, quello stesso uomo, conservato dentro una stella... sì, una stella a cinque punte, quella che tutti i bambini non riescono mai a disegnare perfettamente, quella forma libera, composta da triangoli, figure perfette e stabili, saldamente poggiate a terra, ma con la punta che anela e tende all'infinito... e che potrebbe anche raggiungerlo! Cosa direbbe, allora, quell'uomo? La cui testa non deve più sopportare il peso di nulla, deve solo permettere alla sua essenza di elevarsi e le cui braccia e gambe possono anche rannicchiarsi formando una palla, una palla infuocata... un Sole?

Efesto o la solitudine dell'artigiano

Scintille lampi faville
la mazza sull'incudine forgia
la forza del braccio che spinge
un colpo poi un altro poi un altro
si sbalzano l'oro ed il ferro
pronti ad epiche gesta.

Ed ecco le armi di Achille
l'elmo di Hermes, l'Egida di Zeus
: tutte opere del dio deforme
il dio artigiano, Efesto lo zoppo
deriso e tradito.

Cadde per nove giorni e nove notti
dopo che il padre Zeus
lo scagliò giù dall'Olimpo,
cadde qui a Lemno il dio.
Noi gl'insegnammo l'arte della forgia
e lui divenne il più grande.
Efesto è la perfezione del gesto,
l'orgoglio dell'opera fatta.

Ma è solo, il dio, e negletto.
Sfoga nella fucina le sue lacrime,
le gocce sfrigolano sull'incudine
e scivolano, si perdono
negli sbalzi dell'oro e del ferro.

Gli automi che lo circondano,
loro, tacciono
:
nessuno lo vede, il suo dolore.

 

Alle quasi notte

Non doveva avere assalti
in questo mezzo tempo a misura di campanule
a bolla di caligine
la città ch’evade dalla mente
trattando fughe al tornasole.
 
Fanali come fermi i vigili
non multano la doppia fila delle luci:
sono bigoli le attese
alle quasi notte.
 
Stanno sulle rive della pozza questa sera
dove andare somiglia civilmente ad un passo
di caucciù, ma se viene suadente
per lo specchio
si rifaranno lune le cicale cittadine:
le Nine, le Pine, Le Gine e le altre;
di cui il nome nei titoli di coda al sonno.
 
Non Giovanni,
quasi antico
come chi nasce dalle rose.

Il Gazebo

S’accorse di aver cliccato inavvertitamente con il dito pollice, o forse con un’intenzione partita da un inconscio che non aveva fatto in tempo, o voluto, controllare, sul tastierino in basso a destra del Motorola stretto longitudinalmente tra le dita.
Aveva lasciato scorrere più volte la piccola camera, nelle prime ore del pomeriggio dopo avere mangiato un panino al bar-mensa dell’ospedale ed aver letto tre quotidiani, su giardini pieni zeppi di siepi e parcheggi ai lati, e mancanti di aiuole, per documentare, insieme allo squallore di una totale assenza di colori vivi naturali, la similitudine con lo stato d’animo che quel giorno, e in quell'ora, lo stava soffocando.
Attendeva di conoscere l'esito di un intervento operatorio che si andava prolungando oltre il previsto e, impaziente com'era, avrebbe desiderato quasi che la natura gli avesse voluto anticipare, con il suo rigoglio, un segno benevolo e comunque di speranza.
Arrivato all’altezza dell’unico gazebo del prato circondato da padiglioni di cemento vivo, era rimasto colpito dall’improvvisa macchia azzurra che gli aveva invaso l’obiettivo e l’occhio, quasi una fastidiosa puntura di un insetto che avesse voluto arrecargli un ulteriore danno.
Andrea abbassò il cellulare fino al petto, per rendersi conto se fosse la rifrazione o l’insetto veramente, e rimase a guardarli ad occhio nudo.
Era un’intera famiglia, una famiglia probabilmente nordafricana, o indiana.
Dalla ventina di metri da cui li stava osservando non avrebbe potuto dirlo con certezza., poi invece pensò, magari sono pakistani. La donna che aveva dato colore alla camera del cellulare difatti, vestiva una specie di sari e gli uomini seduti in circolo sulle panche, coi bambini e tre donne più anziane, vestivano vesti lunghe fino ai piedi di un bianco sporco e sulle labbra portavano mustacchi importanti.
Andrea pensò ancora, deve essere la figlia, perché nessuno dei due uomini aveva i mustacchi color bruno.
La donna in piedi stava distribuendo sul tavolo circolare, tirandoli fuori con cura da sacchetti di plastica ad uso alimentare marchiati coop, sacchetti di carta bianca grandi e piccoli, e due pile di piatti e bicchieri, di plastica lattea.

Sto

In questo silenzio del cuore
che sa di te
io sto
E ricordo le carezze di labbra
e di baci la pioggia
Come un continuo scrivere "Ti amo"
nel mio respiro sconnesso
Attenderti
Tu, luna nuova dentro il mio mare d'Inverno

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