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Prosa e racconti

Viaggiatori 4

Io l'ho visto il suo cuore, un momento in cui gli ho attraversato lo sguardo, in uno dei suoi momenti da piangere, quando qualche pensiero l'ha disarmato, spogliato, nudo senza difese alla malinconia.
Lui si riveste subito, ché un Uomo non può essere tenero, i lupi se lo mangiano, ho pensato che era un bambino, le ginocchia sbucciate nascoste nei pantaloni, tanta voglia di giocarsi la vita. Ho visto il suo cuore quando me l'ha aperto del tutto, ed ho potuto avvolgermi d'amore, il mio più grande amore. Ho visto il suo cuore nel momento esatto in cui l'ho sentito perduto, disabituato alla dolcezza, arrendersi poco a poco, poggiare alla parete le lance e portarmi fiori alle labbra, con le sue. Parole indispensabili, silenzi. E' come se l'avessi sempre amato, sempre saputo, ogni suo gesto, ogni desiderio, interpretato io. Lui ha visto il mio cuore, lo tiene con entrambe le mani, per non farlo cadere. Ché il mio cuore è un macigno e pesa di amarezze stratificate. Lui legge, il mio cuore senza fiato, poggiandoci le dita lo fa tremare d'amore incontenibile.
 
 
 
 
 

La tua bocca

Ti guardo, ti sto vedendo, vorrei, pur così al di là, i tuoi occhi sorridermi. La tua bocca aprirsi, arricciarsi il labbro superiore e gonfiarsi. Vene. E’ incontenibile questa voglia di sfiorarlo, di sentirne il fremito, d’appallottolarlo in bocca, di passarci sotto, tremenda.
La voglia.
D’appoggiarti le dita sulle spalle, succhiarti le narici che respirano. Seguire, l’arco perfetto delle sopracciglia, le palpebre, che cedono.
Quel giorno, che tornerò, ti bacerò quanto mi piace la tua bocca.

Viaggiatori 3

Ecco il vuoto, mi si para innanzi, non lo so evitare. C'è roccia liscia e poco verde, manca la presa, precipiterò.
L'ansia
toglie la lucidità, in questi momenti servirebbe.
 
S'inerpica lo sconforto come uno stomaco in gola, su o giù di lì.
 
[Liane
cercai dove appendere figure plastiche,
tutta un'esistenza
di bambole e di alberi di Natale
accesi].
 
Inutilità di me.
 
Confusione
di gente di corsa sui treni in ritardo.
 
Rumore
di voce metallica, sopra un paio di coperte a terra.
 
Negli angoli
della mia esistenza c'è troppo spazio.
 
Cammino
senza guardare dove.
 
Al freddo
distesa.
 
Solitudine
fammi compagnia in questo strazio chiamato vita.
 
Non vedo nessuno,
nemmeno chi si sposta dall'odore di mani tremanti.
 
Attesa,
in uno spicchio di stazione quasi casa,
il posto
per morire in pace.
 
 
 
 
Stazione FS di Venezia Mestre, febbraio 2010, clochard, donna, età apparente: oltre 80 anni. Fra l'indifferenza di centinaia di persone. Io  osservo, sono parte dell'indifferenza. Posso darle 10 euro. Niente più che un gesto piccolo. Mi sento a disagio per l'elemosina e perché sono parte di una società che permette questo. Troppo abituata al dolore,  troppo concentrata sulla mia gioia, tempo mezz'ora e dimenticherò. Perdo il mio treno.
 

Ma la Notte è un'altra cosa

E la notte... ma la notte è un'altra cosa.
Ma la notte, per l'artista, è un'altra cosa. È coltre materna che si spiega, come ala, per cullare l'anima del suo figlio prediletto, che con la placida ed intensa luce delle stelle, asciuga le lacrime degli amanti e di coloro che attendono una risposta dal domani che verrà.
È la notte che dona sogni a cuori spenti e che infonde vita, la rigenera, nelle mani di chi il giorno si consuma e si strugge per una routine troppo stretta, troppo arida, troppo vile.
È la notte che bacia il capo e placa il tormento di corpi dissanguati da desideri inespressi, speranze tradite.
È la notte che mette fine ad ogni cosa nell'eterno istante del sonno.

Alexis
25.02.2010

il pagliaccio

Gli occhi acquistano lucidità
E non sono lacrime
Lei finalmente vede
Il trucco  disfatto
Il rimmel sbrodato
I lustrini opachi
Lui ora le sembra
una vecchia puttana in disuso
Un pagliaccio solo
che piange sotto il tendone
Quella spettatrice non c'è più
l'ha vista andar via
Sbadigliava
Lui piangerà tanto
Avrebbe dovuto cambiare copione
Riuscire a strapparle ancora un sorriso
Gli applausi non si pretendono
Si meritano

I temporali

Da qualche tempo ho smesso di immettermi con il raccontare i miei ricordi e di parlare del mio (fantastico) corso all'unitre. Ci riprovo
 I temporali.
 I temporali erano  avvenimenti che  portavano scompiglio particolare in paese.  Il suo arrivo faceva correre Eugenio (il sacrestano)  a suonare le campane per allontanare questa iattura capace di distruggere un raccolto frutto del lavoro di un anno intero.  A me piace ricordare che al primo accenno di tuono, ero sicura che Donna Elvira sarebbe arrivata a casa nostra per superare la paura.  Io attendevo quei momenti perchè la signora, per distrarsi cominciava a raccontare storie delle antiche famiglie del  paese  delle quali conosceva ogni storia. Misteri che lei raccontava e che io letteralmente bevevo.
 In queste incursioni, a volte, mi insegnava filastrocche da lei apprese nella sua fanciulleza, Tra queste:
 
La pigrizia andò al mercato
ed un cavolo comprò.
Mezzigiorno era suonato 
quando a casa ella tornò.
Cercò l'acqua, accese il fuoco
si sedette e riposò.
Ed intanto poco a poco
anche il sole tramontò.
Così persa ormai la lena
sola al buio ella restò
ed a letto senza cena
la meschina se ne andò.
 
Credo di averla ricordata bene ma se qualcuno la conosce e ho saltato qualcosa, mi fa piacere saperlo.
Altra, credo più conosciuta:
 
Cera una volta un re
seduto su un canapè
e disse alla sua serva
raccontami una storia
e la serva cominciò:
C'era una volta un re
seduto su un canapè
e disse alla sua serva.....

Ho tolto il tappo, non é ancora aceto.

Il primo strato che incontri é quello dei ricordi più dolorosi. Se riesci ad abbattere il muro che hai costruito per seppellirli. Vengono a galla, risalgono la superficie dell’ignavia che li ha tenuti lontano dal tuo cuore evitandoti sofferenze e si mostrano così al mondo, nudi. Ora che hai rotto gli argini, mi dico, vai avanti non fermarti. L’emozione è forte, i ricordi tentano di sommergermi. Dove sei stato fino adesso? Perché proprio ora? E’ come aver tolto il tappo ad una bottiglia di vino che stava andando in aceto. Mi mancava il cavatappi, mi sono risposto. Poi ho convenuto con me stesso che era una delle mie solite scuse. Che grandi cazzate si inventano gli uomini pur di non ammettere i loro errori! Mi sono messo a scrivere.

Cose Così [fruttate]

Esploda d'aroma fruttato il peregrinare dei baci nel fiato, inanelli ciambelle glassate di bianco. Siano il fresco delle acque, le sinfoniche accortezze, l'arco del cielo piegato confonda le rondini. Arretri il velo tortora sceso a tradimento. S'inventi il tempo, lo dilati, ne faccia concerto di archi e pianga di pioggia. Ora, raccolti i vestiti da terra, si plachi il mal d'amore. Apra la finestra e lo respiri, questo spazio immenso, immerso.
 
Passeggia fra cesti di mele.
 
Manuela

Viaggiatori 2

Riponimi fra gli spiccioli delle tue tasche piene di arcobaleni, gli orli piegati, le cuciture. Riempi le mie stanze di bottoni alle tue asole, e liquida ghiacciai dietro le iridi. Semina di fiori le distese aperte al verde, alle albe nitide, alle stagioni quiete. Arriccia il mare e le sue onde, raffina l'oro dei deserti, azzurra i cieli, i nostri. Portami sui tuoi silenzi, aprendo le tue porte alle parole care. Di trasparenze e suoni si caramella l'andare vischioso, mette ali bianche, s'alza in punta di piedi per baciarti ancora, e ancora, ancora, sulla bocca.
 
[Ti amo davvero.
Nessuno come te]
 
Manuela
Montserrat M.B.

Viaggiatori

Le dita fra i coriandoli di un giorno come carta leggera, al di là di un formicolio triste alla base del collo. Sposta i cappotti la corsa di un treno contro vento. Sferza le bocche a falciarle, l'inverno. Passa una lingua sulle labbra a inumidirle sopra il rossetto... non basta una sciarpa a ripararle dal freddo.
Con te, in te, fra nuvole tiepide, vestito di pesca, scardina ed annega di tequila e di rum l'alcol d'amore. S'assottiglia la sera verso le ore di una notte nera e nuda. Tempo che non abbiamo, poco tempo, tanto tempo. Ho te fra le costole a sibilarmi che esiste la felicità, nei tuoi baci dentro ai miei, tu dentro me. Piove o forse no, di mattina, sui viali di panchine a braccetto e la sera prima. Farfugliano i saluti, rimbalzano sugli occhi di rimmel e matita. Il libro che leggo ha le parole sfocate, le pagine grosse. Pensavo a te, a come stavi allora, a come stavo io. Alla tua tristezza un attimo fa.
La discesa è pericolosa, prima passo la borsa poi l'ombrello, e poi lentamente, io. Oppure non scendo e torno indietro ad abbracciarti.
 
[Le cose che mi dici.
Quello che mi dai].
 
Manuela
astratto moderno di mmb art

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