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La fattura e la.... stregoneria

Breve viaggio nella foresta del vocabolario alla ricerca di parole omofone (parole che hanno la medesima grafia  e  il medesimo “suono”) ma di significato diverso di cui la nostra lingua è molto ricca.
Prendiamo, per esempio, il termine “fattura”, parola omofona, appunto, ma con diversi significati. Quello piú comune è noto a tutti; se non altro basta aprire un qualsivoglia vocabolario e leggere: l’atto e l’effetto del fare; l’opera di artigiani in genere e lista nella quale è annotato l’importo delle spese occorse per compiere un lavoro e quello richiesto, da chi l’ha eseguito, per la sua prestazione.
Ma fattura vale anche “stregoneria”, “malia”. C’è fattura e… fattura, quindi. Questa stessa parola, dunque, come può “contenere” significati cosí diversi tra loro?
La diversità è solo apparente in quanto la “matrice” è unica: il latino “factura”, tratto da “factus”, participio passato di “facere” (fare). A questo punto possiamo dire che la fattura, propriamente, è l’ “azione del fare”. Un sarto, per esempio, quando fattura un abito non compie l’ “azione del fare” (un vestito)? Quindi lo… fattura. La medesima cosa vale per la fattura commerciale. Colui che compila la lista del lavoro svolto con il relativo costo non fa altro che compiere l’”azione del fare”… la lista. Bene. La medesima cosa fa colui che compie una stregoneria. In origine, però, la “fattura” non valeva stregoneria come la intendiamo oggi, bensí “fare sacrifici agli dèi”, attendere alle cose sacre. E in latino si diceva, infatti, “facere rem sacram”, fare una cosa sacra, vale a dire compiere l’ “azione del fare” una cosa sacra operando con la mano. Di qui il significato estensivo di compiere l’ ”azione del fare” filtri, incantesimi e via dicendo. Da questa azione è nato il verbo denominale “fatturare” con i relativi significati: annotare in fattura le vendite effettuate; compiere un incantesimo; affatturare e manipolare; adulterare; sofisticare; alterare una sostanza mescolandovi materie estranee.
A questo proposito occorre notare, però, che non sempre “adulterare” e “fatturare” sono sinonimi l’uno dell’altro, vale a dire che non necessariamente fatturare ha un “valore negativo” come il cugino adulterare. E spiega benissimo questo concetto G. Cusmano nel suo “Dizionario metodico-alfabetico di viticoltura ed enologia”. Vediamo.
“Un vino può essere adulterato, e può essere fatturato. Si adultera un vino aggiungendogli sostanze nocive alla salute, come acido solforico, fucsina (un colorante, ndr) ecc.; si fattura unendogli sostanze innocue alla salute, come alcol, zucchero”.
Di “matrice” diversa, invece, le due accezioni di “scampo”, altra parola omofona incontrata in questo viaggio. Il primo significato, quello di “salvezza da un pericolo, da un grave rischio” viene dal verbo “scampare”, composto della particella “s” e il sostantivo “campo” e propriamente vale “uscir salvo dal campo” (di battaglia): non c’è piú scampo. La seconda accezione, quella di “crostaceo marino commestibile” (scampo, appunto), proviene da una voce veneziana composta sempre della particella “s” piú il sostantivo greco “hippocampos” e divenuto “scampo” per la caduta delle sillabe iniziali “hippo”.
Fausto Raso
 

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